Il timore non è parente della paura.
Sono molti i sentimenti che si affollano attorno alla preoccupazione della difesa della persona: paura, timore, ansia, panico, diffidenza, sospetto, preoccupazione … Ciascuno di questi termini indica un atteggiamento interiore particolare; hanno qualcosa che li accomuna, ma non possono essere definiti parenti. In particolare, ora, ne prendiamo in considerazione due, timore e paura, soprattutto per coglierne le differenze.
Timore. Tutte le religioni manifestano il timore come sottofondo nei confronti della divinità. La divinità affascina e spaventa allo stesso tempo. Sempre l’idea di Dio ha suscitato una forte attrazione e contemporaneamente un senso di smarrimento. Nessun incontro con lo sconosciuto e l’inatteso di Dio passa senza un momento di brivido. Secondo la Bibbia è stato così dall’apparizione di Dio al Sinai fino al mattino di Pasqua: «(le donne) Lasciarono il sepolcro piene di grande timore e di grande gioia insieme …» (Mt 28,8).
Nella Bibbia, non c’è quasi mai un’emozione suscitata da una manifestazione divina senza che sia accompagnata dall’invito: «Non temere». Può accadere che il timore di Dio diventi una realtà duratura: «Il timore del Signore è puro, dura sempre» (Sal 19,10). Le traduzioni della Bibbia a volte usano il temine “paura” invece di “timore”; le due parole, però, hanno significati profondamente diversi.
Paura. Secondo gli psicologi la paura è una reazione istintiva, che scatta in noi automaticamente per un motivo sproporzionato e produce effetti, che destabilizzano la personalità. A differenza del timore, la paura è uno stato di allarme, che si scatena senza un preciso oggetto o per un motivo sproporzionato. Come conseguenza della paura l’individuo investe la gran parte delle sue energie, rallentando così la sua vita normale.
Accanto a paure che sono nevrotiche (fondate, cioè, su stimoli inesistenti o non proporzionati) ci sono anche delle paure esistenziali, vere, come la paura della morte intesa come il finire di sé, la paura del dolore … Tra queste paure esistenziali possiamo mettere anche la “paura di Dio”. Da che cosa dipende che si abbia paura o timore di Dio?
Tutto dipende da …
Da che cosa dipende l’ambivalenza dei nostri sentimenti (timore o paura) nei confronti di Dio? L’idea che noi abbiamo di Dio è all’origine di quello che proviamo per Dio: se Dio è un “padrone” noi siamo dei sudditi/servi, se è un “giudice” noi siamo degli imputati, se è un “benefattore” noi siamo dei beneficati, se è un “padre” noi siamo dei figli. La prospettiva cambia completamente.
Presentando il Rabbi galileo, Giovanni Battista esclamò: «Ecco colui che toglie il peccato del mondo». Il peccato del mondo non è la lussuria, né l’avarizia, né l’odio, né l’egoismo, e nemmeno la violenza o l’omicidio (sono tutti realtà inquietanti): è, invece, l’idea distorta di Dio. Da questa nascono o il timore o la paura di Dio con tutte le conseguenze.
Tutto l’impegno di Gesù di Nazareth si espresse nel dare agli Israeliti del suo tempo l’idea corretta di Dio. Lo chiamò e chiese che tutti lo chiamassero “Padre”. È curioso che il IV Vangelo (quello che esprime la prima riflessione teologica sull’insegnamento di Gesù), usi sempre il termine “Padre” per indicare Dio. Aggiungiamo che Gesù, rifacendosi alla tradizione dei profeti, insegnò che l’unico rapporto possibile con Dio è l’amore e non la paura. Era una rivoluzione spirituale per gli Israeliti del suo tempo, tanto che fu accusato e condannato per bestemmia.
Gesù parlò di un Padre che ha cura di tutte le sue creature: dei fiori che riveste di colori splendidi, degli animali ha cui a dato capacità che non finiscono di sorprenderci, ma soprattutto si è mostrato premuroso per gli uomini, (tutti gli uomini) ai quali ha dato il suo alito. Pur sapendo che parte di essi erano buoni e parte malvagi e ingiusti, assicurò che su tutti, ogni giorno, avrebbe fatto piovere e sorgere il sole, segni della sua benevolenza e premura. Non un generico buonismo qualunquista, ma un Padre che ci ama non perché siamo buoni, ma perché amandoci ci rende buoni. Un Padre che si è spinto fino al punto di giocare la sua paternità per salvarci: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare il figlio affinché chiunque crede il lui abbia la vita eterna» (Gv 3,16). “Vita eterna” non è “l’aldilà”, bensì la vita stessa di Dio che è eterna. Il “Padre” vuole condividerla con noi suoi figli.
L’offerta che Dio ha fatto non era legata a un suo vantaggio, ma unicamente al suo desiderio di farci partecipi di qualcosa di grande ora; quello che ci aspetta dopo Dio non ce lo può comunicare perché non siamo in grado di capirlo. Alla richiesta di Mosè «Mostrami la tua gloria» (Es 33,18) che si potrebbe tradurre così: “Fammi vedere chi sei?”, Dio aveva risposto: «Nessun uomo può vedere il mio volto e continuare a vivere» (Es 38,20). Non era una minaccia, bensì una bellissima prospettiva: se potessimo vedere Dio negli occhi sarebbe così esaltante che dopo ci chiederemmo: “Adesso, qui, io che cosa ci sto a fare? Non mi interessa più nulla”.
Perché l’ha spuntata la paura?
Di fatto, nella nostra tradizione di fede, fino ad oggi ha prevalso la paura: paura dei castighi, paura del giudizio, paura dell’inferno … Si è affievolito il messaggio bellissimo di Gesù sul Padre, sostituito da un dio corrucciato e vendicativo, con l’incubo dell’inferno che pendeva su ciascuno di noi come una spada di Damocle. Nella liturgia troviamo il bellissimo quanto inquietante Dies irae delle esequie dei defunti, e nell’atto di dolore al termine del rito della confessione “peccando ho meritato i vostri castighi” o nelle parole riferite a Maria in qualche rivelazione: “A stento trattengo l’ira vendicativa di mio Figlio…”. La predicazione è andata a nozze con questa mentalità, mentre la teologia aveva già messo in secondo ordine la Misericordia che, nella Rivelazione, Dio si era attribuita come prima sua caratteristica: «Il Signore, il Signore Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di grazia e di fedeltà …» (Es 34,6). Tutto questo si è perduto, abbandonando il messaggio potente e liberatorio di Gesù per fare spazio a elucubrazioni teologiche, più vicine alla filosofia del momento che alla Rivelazione.
Ancora più preoccupante è l’appiattimento dell’immagine di Dio sugli standard della nostra cultura, che vuole che tutto vada pagato. Ciò che è gratis nasconde sempre un trucco e anche Dio viene messo in questo luogo comune della cultura. Dio, invece è esattamente il contrario: è grazia (cioè gratis). Dio non ci chiede nulla per quello che ci ha dato e che ci dà; per tutto quello che ci dona non ci chiede nulla in cambio.
Quando noi pecchiamo e ci allontaniamo da lui, se torniamo per essere riammessi nella sua amicizia, quello che egli ci dà è per-dono. Dio è grazia, cioè gratis; inutile che cerchiamo di comprarlo con novene, promesse, voti, offerte, preghiere. Ogni giorno ci mantiene la vita gratuitamente, gratuitamente ci mantiene accanto le persone che amiamo. Il nostro problema è capire che egli è cosi e lasciarci affascinare, incantare da lui. Purtroppo, invece, è istintivo in noi, quando commettiamo qualcosa di male, di sentirci sotto la minaccia ci castighi di Dio. È una manifestazione di paura, non di timore.
A questo punto possiamo tirare una prima conclusione: il timore di Dio non è la paura di lui, dei suoi castighi, ma è il pensiero di perdere il contatto e l’amicizia di lui, che ci sono preziosi. Non sarà mai lui a prendere le distanze da noi. Il peccato non è una semplice violazione di una norma, ma la perdita di questo amore.
Abraham Joshua Heschel, rabbino e filosofo polacco naturalizzato statunitense è autore di due pubblicazioni straordinarie: Dio alla ricerca dell’uomo – L’uomo alla ricerca di Dio. Ecco un passo sulla sua idea di timore di Dio come meraviglia e sorpresa.
“Il timore è un modo di essere in rapporto con il mistero di tutta la realtà. Il timore che percepiamo o dovremmo percepire quando ci troviamo alla presenza di un essere umano è un momento di intuizione della somiglianza di Dio che si cela nella sua essenza. Non soltanto l’uomo, ma anche gli oggetti inanimati hanno relazione con il Creatore. Segreto di ogni creatura è l’attenzione e la sollecitudine di cui sono investite da parte di Dio. Qualcosa di sacro è in gioco in ogni avvenimento.
Il timore è l’intuizione della dignità di creature comune a tutte le cose e del grande valore che esse hanno per Dio; è il riconoscere che le cose non sono soltanto quello che sono ma implicano anche, se pure alla lontana, qualcosa di assoluto. Il timore è percezione della trascendenza, percezione del fatto che tutto in ogni luogo si riferisce a colui che è al di là delle cose. Un’intuizione che si manifesta meglio negli atteggiamenti che nelle parole. Tanto più siamo desiderosi di esprimerlo, tanto meno vi riusciamo.
Il significato del timore è di rendersi conto che la vita si svolge sotto orizzonti vasti, che si estendono oltre il breve lasso di tempo di una vita individuale o perfino della vita di una nazione, di una generazione o di un’epoca.
Il timore ci permette di percepire nel mondo le allusioni al divino, di sentire nelle piccole cose il principio di un significato infinito, di sentire ciò che è essenziale nel comune e nel semplice; di avvertire nel fluire del transitorio il silenzio dell’eternità.
Il percorso di Israele
Amore, rispetto, ammirazione, fedeltà, premura, devozione … questi e altri sono i colori del timore di Dio. Seguendo i percorsi della Scrittura potremmo rilevare i
vari modi con cui il timore di Dio si è fatto strada. Solo l’innamorato può provare il senso vero del timore. Il cammino di Israele significò l’acquisizione di tutti questi sentimenti nei confronti di Dio.
Nei primi secoli il rapporto fra Israele e il suo Dio fu molto conflittuale. A parte i cinque libri del Pentateuco, che sono la teologia della preistoria di Israele, già nel libro di Giosuè e poi soprattutto in quello dei Giudici il rapporto con Jhwh è una sorta di transazione, di scambio commerciale: “Tu mi obbedisci e io ti premio, tu mi sei infedele e io per punizione ti abbandono”. Segue poi il pentimento e il ritorno. E il gioco va avanti così per generazioni. Quello di Israele, nei confronti di Jhwh, è amore interessato. Il tutto spesso coperto da riti fastosi, ammazzamenti di animali e promesse di fedeltà.
Nell’Alleanza del Sinai, Dio usa un’espressione molto forte: «Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra Non ti prostrerai davanti a nessuno di loro e non li servirai. Perché io sono un Dio geloso …» (Es 20,4-5). Non è la gelosia dell’innamorato tradito, ma del padre che vede minacciata la libertà della sua creatura.
Però, già in questa prima fase della storia della salvezza Jhwh aveva fatto la richiesta di amore e di timore: «Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non che tu tema il Signore tuo Dio, che tu cammini per tutte le sue vie, che tu l’ami e serva il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, che tu osservi i comandi del Signore e le sue leggi, che oggi ti do per il tuo bene?» (Dt 10,12-13). Temere, amare e servire Dio qui sono sinonimi. Il timore di Dio non è più una emozione, ma un atteggiamento stabile della fedeltà nell’alleanza pattuita.
Saranno i profeti a scuotere questa impalcatura e a denunciarne il vuoto interiore e la contraddittorietà. Il primo è il profeta Isaia all’inizio del suo libro (Is 1,11-15):
11 «Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero?» dice il Signore. «Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco.
12 Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri?
13 Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità.
14 I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli.
15 Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi.
Sono parole durissime, che potrebbero essere ripetute anche oggi per una religione fatta solo di incensi e di riti fastosi a cui non corrisponde il cuore. C’è un vuoto di amore. Per essere più esplicito lo faccio con un episodio di cronaca.
Per i profeti Jhwh fa una precisa richiesta al suo popolo: «Voglio l’amore e non i sacrifici, la conoscenza di Dio, non gli olocausti» (Os 6,6). I sacrifici erano espressione della paura e della volontà di placare l’ira di Jhwh. Gesù di Nazareth, che si è posto nella linea dei profeti, non partecipò mai ai sacrifici cruenti del tempio e, con la Samaritana, parlò di un culto in spirito e verità: «I veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità, perché il Padre cerca tali adoratori» (Gv 4,23).
Nei Libri Sapienziali il rapporto tra amore e timore raggiunge il suo vertice. Sono molti i proverbi che illustrano le qualità del timore di Dio e la sua forte azione sulla vita. Eccone alcuni: “Il timore del Signore è fonte di vita / per sfuggire ai lacci della morte (14,27); Il timore del Signore conduce alla vita / e chi ne è pieno dorme tranquillo (19,23); Il timore del Signore prolunga i giorni / ma gli anni dei malvagi sono accorciati” (10,27).
Nei Salmi il timore di Dio è richiamato continuamente, come momento di saggezza e come orientamento per la vita. In essi, temere il Signore, è «custodire la sua alleanza e ricordarsi di osservare i suoi precetti» (Salmo 103,18). «Coloro che temono il Signore» formano «la grande assemblea» dei fedeli riuniti nel Tempio per pregare e adorare Dio (Salmo 22,26). In questo contesto, il timore del Signore corrisponde pressappoco a quella che chiamiamo educazione religiosa. Per questo esso viene insegnato: «Venite, figli, ascoltatemi; v’insegnerò il timore del Signore» (Salmo 34,12). Senza è impossibile costruire un rapporto con Dio, che abbia stabilità. Come esempio richiamo alcuni salmi che fanno riferimento al timore di Dio, riservando alla seconda parte l’esegesi di un Salmo.
Sal 5:8 Ma io per la tua grande misericordia entrerò nella tua casa; mi prostrerò con timore nel tuo santo tempio.
Sal 18:10 Il timore del Signore è puro, dura sempre; i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti,
Sal 33:12 Venite, figli, ascoltatemi; v’insegnerò il timore del Signore.
Sal 39:4 Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore e confideranno nel Signore.
Sal 55:12 in Dio confido, non avrò timore: che cosa potrà farmi un uomo?
Sal 63:10 Allora tutti saranno presi da timore, annunzieranno le opere di Dio e capiranno ciò che egli ha fatto.
Sal 89:11 Chi conosce l’impeto della tua ira, tuo sdegno, con il timore a te dovuto?
Sal 110:10 Santo e terribile il suo nome. Principio della saggezza è il timore del Signore, saggio è colui che gli è fedele; la lode del Signore è senza fine.
Sal 117:6 Il Signore è con me, non ho timore; che cosa può farmi l’uomo?
Sal 129:4 Ma presso di te è il perdono: e avremo il tuo timore.
Dopo i profeti e i sapienti, trionfarono per secoli i cavillatori delle leggi e i fanatici delle discussioni teologiche, e si perse di vista il messaggio delle Scritture. Si era ormai all’alba del Secondo Testamento ed arrivava “Colui” che avrebbe dato risposte e pienezza alle domande e alle attese che erano state formulate. Gesù di Nazareth era l’uomo che realizzava il sogno di Dio sul rapporto con i suoi figli.
Gesù: la pienezza del timore di dio
Con la venuta di Cristo, e in vista del suo arrivo, si chiude l’epoca della paura di Dio. Nel giardino di Eden, Adamo si era nascosto “per paura”, a Nazareth una giovanissima donna non si nasconde a Dio “per paura” come aveva fatto il progenitore, ma ascolta con rispetto e amore quando le viene chiesto. È l’ouverture della sinfonia della salvezza.
Segue, a breve, l’ingresso, nella storia umana, di un “Uomo” che lo Spirito aveva sottratto al potere di Satana. Dopo aver indotto l’uomo a peccare, aveva preteso la signoria della terra, definendosi principe di questo mondo. Avendo resi ubbidienti a sé i progenitori, pensò di aver creato il suo regno. Cristo venne per confutare le sue pretese. Come figlio dell’uomo sarebbe rimasto fedele a Dio e avrebbe mostrato che Satana non aveva un “potere assoluto” sulla stirpe umana e che la sua pretesa di essere il sovrano della terra era falsa, perché l’uomo- Gesù non si sarebbe mai sottomesso al potere di satana.
Quando Gesù nacque, Satana capì che era venuto per contestargli il dominio. L’incarnazione del Figlio di Dio lo riempiva di stupore e sgomento. Non riusciva a comprendere il mistero di quel grande sacrificio. Il suo animo egoista non poteva concepire un così grande amore per l’umanità decaduta. Satana assistette al battesimo del Salvatore: vide la gloria del Padre circondare il Figlio e udì la voce che ne attestava la divinità.
Satana si rese conto che il conflitto era con questa umanità nuova in perfetta armonia con Dio. Quando Gesù entrò nel deserto fu circondato dalla gloria del Padre. Assorto nella comunione con Dio, fu innalzato al di sopra delle debolezze umane. Poi la gloria si allontanò e rimase solo contro la tentazione. Satana si presentò allora al Salvatore sotto aspetto di un angelo e usò la Scrittura piegandola ai suoi scopi; cercò di togliere al Maestro la sicurezza che aveva posto nel Padre. Non vi riuscì. Era l’annuncio della fine del suo potere.
È nel Giardino degli Ulivi quando, in vista di ciò che lo attendeva di lì a poco, «egli cominciò a provare angoscia e paura» (Mc 14,33) che egli dimostrò tutta la sua fiducia nel Padre. E il suo attaccamento al Padre in quel momento si espresse con una disponibilità straordinaria: «Padre, tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).
Sulla croce provò la tentazione più drammatica: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). Il timore che il Padre lo avesse abbandonato lo prese ma non lo vinse e le sue ultime parole furono di un abbandono fiducioso: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Era il trionfo definitivo dell’amore e dell’abbandono.
Potremmo chiudere con il messaggio della 1 di Giovanni (4,18): «Nell’amore non c’è paura, al contrario l’amore perfetto scaccia la paura, perché la paura presuppone un castigo e chi ha paura non è perfetto nell’amore». Amore e timore vivono in un inscindibile legame.