L’uomo è un essere pensante che parla e un parlante che pensa. La sua storia si è svolta sulle piste della parola: parola parlata, parola scritta, parola cantata, parola drammatizzata. Bisogno di comunicare.

Gli esperti ritengono che il linguaggio attraverso un lento, ma progressivo, processo di interiorizzazione, sia diventato, fin dall’inizio, un fattore decisivo di sviluppo della personalità dell’individuo e, nello stesso tempo, uno strumento fondamentale della vita sociale.

Proviamo a immaginare il salto straordinario fatto dall’uomo quando dai primi suoni informali è arrivato a identificare certi suoni con precisi oggetti come uomo, donna, bambino, fuoco, cibo, acqua … Una possibile immagine l’abbiamo nel bambino piccolo che prima indica con il dito gli oggetti e poi arriva a chiamarli con un nome che ha sentito ripetere.

Nei primi insediamenti umani troviamo raffigurazioni di animali e di caccia: anche questo era un modo per comunicare. La parola, però, era un modo straordinario di esprimere un pensiero senza la rappresentazione dell’oggetto.

La nascita del linguaggio ha rappresentato, come la scoperta del fuoco, un salto qualitativo nella vita degli uomini. Anche gli animali comunicano con suoni tipici di ogni specie; si tratta di un linguaggio innato che non è mutato con il passare dei millenni.

Per il linguaggio umano un passo ulteriore straordinario è stata la scoperta della scrittura. Questa ha rappresentato la possibilità di fissare il messaggio del linguaggio in qualcosa di durevole e fisso.

L’uomo e la parola

È scontato che l’uomo ha bisogno della parola (ascoltata e detta) per potersi sviluppare. I casi di esseri umani cresciuti in foresta con gruppi di animali ci dice come il contesto umano stimoli la crescita dell’umanità che è nell’uomo. Gli studiosi dicono che l’evoluzione del bambino ripete, in sintesi, quella dell’umanità anche e soprattutto per quello che riguarda la parola.

La comunicazione a tutti i livelli è indispensabile e condiziona la crescita della persona. Si dice che non esistono i muti: esistono i sordi che, non sentendo comunicazioni verbali, non sono in grado di comunicare con la parola.

La parola è come un grembo che accoglie e tiene in gestazione, rielaborandoli i messaggi dell’esperienza. La parola non è nella persona in modo … personale: padre, madre, fratello, sorella, amico … non sono contenuti da dizionario, hanno una valenza e una carica individuale, personale. La parola prima che un fatto mentale è la rielaborazione di un’esperienza. Queste le parole che noi potremmo chiamare “patrimonio individuale”. In età avanzata si verifica spesso il fenomeno della perdita delle parole; ma non è la perdita dei significati profondi che essa conteneva, perché quello è un patrimonio che se ne andrà con noi.

LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO

Comunicativa

Il linguaggio verbale permette di esprimere agli altri le proprie esperienze e idee, di condividere le proprie conoscenze; di scambiarsi informazioni sulla realtà in cui siamo immersi.

Relazionale

Il linguaggio permette agli individui di comunicare fra loro e di stabilire rapporti reciproci, di interagire, di mantenere le reazioni con quelli a cui ci rivolgiamo.

Educativa

L’educazione si basa soprattutto sull’interazione verbale: le conoscenze degli altri ci vengono trasmesse attraverso comunicazioni orali e scritte, permettendoci di utilizzarle a nostro vantaggio, sia per conoscere la realtà che ci circonda, sia per risolvere in modo più efficace i nostri problemi.

Evocativo-Simbolica

Il linguaggio ci permette di esprimerci ricorrendo ai simboli. Rappresentiamo un oggetto, una persona, una situazione mediante un simbolo verbale, che diventa un legame psicologicamente necessario per indicare quell’oggetto, quella persona o quella situazione: se decidessimo di utilizzare parole non convenzionali non riusciremmo a comunicare.

La parola oggi però …

Con il terzo millennio siamo entrati in pieno nell’era digitale e la parola è andata in crisi. Essa non nasce più dal grembo del silenzio, ma da un’altra parola e quella da un’altra ancora … Parole … parole …parole. Siamo entrati nel mondo virtuale.

La società ipertecnologica al limite dell’ossessione in cui siamo finiti si è appropriata anche della parola e ne ha fatto una merce di scambio. Non più parole vere, ma virtuali, sentimenti virtuali, incontri virtuali, mondo virtuale.

È il trionfo del web, la rete dove le multinazionali dell’informatica governano anche l’economia dei nostri rapporti interpersonali. Fanno i business con le nostre  parole gettate nella rete complice un’adesione apparentemente libera (sono io che digito la tastiera), in realtà barattata con servizi telematici.

Facebook è una piazza virtuale, dove ognuno pensa di incontrare altri, in realtà incontra delle proiezioni di se stesso. E le parole non sono vere, ma nascono da situazioni virtuali (fittizie) create da un invisibile regista. Ci sentiamo soddisfatti di aver incontrato … parlato … scambiato, ma con chi? Abbiamo parlato con noi stessi, seduti davanti ad una tastiera che ci veicola in un mondo virtuale. È la grande illusione di un mondo fittizio che crea solitudini. Anche il silenzio non è più il grembo da cui nascono parole vere, incontri reali, scambi che ci fanno crescere. Il termine virtuale ha nella sua radice la parola “virtù”, ma è un’illusione.

Sarà possibile ritornare alla vita reale, scambiarci ancora parole che nutrono come il pane? Non potremo tornare a guardarci negli occhi e non attraverso lo schermo dei nostri computer, dei nostri Smart phon? Abbiamo una vita sola e non vogliamo investirla sul virtuale. Il calore di una stretta di mano di un abbraccio, di una vicinanza reale … sono un desiderio legittimo o un’utopia? Cerchiamo qualcosa che ci faccia ripartire in modo … reale.

“In principio la Parola …”

Con questa semplice espressione il IV Vangelo ci introduce nella più grande avventura della storia umana. “In principio” non vuol dire milioni e milioni di anni fa, ma fa riferimento alla “radice ultima di tutto”. È da qui che dobbiamo ricominciare per costruire una vita reale, appagante.

È curioso che faccia ripartire tutto dalla Parola, che faccia coincidere Dio, origine di tutto, con la parola. Il Dio che si è rivelato a noi è un Dio che parla; l’unico tra gli dèi delle religioni antiche, che parla. Crea parlando, rinnova parlando, guida parlando, ci salva parlando … perché la sua espressione più alta è la Parola, il Figlio. Proviamo a ritrovare le tracce che questa Parola ha lasciato nella nostra storia.

La prima e più immediata. Spesso noi sentiamo l’espressione “vita eterna”. Non vuol dire l’aldilà, ma la vita che è in Dio, che è eterna, a differenza della nostra che è a termine. Dio vuole condividere la sua vita eterna con noi. Questo avviene attraverso il Figlio che si è fatto solidale con noi facendosi uomo. Dio non è più solamente Dio, ma è anche uomo, l’uomo non è più solamente uomo ma, nel Figlio, è anche Dio.  Così il nostro desiderio di “non finire” trova una risposta vera: noi non finiamo, ma passiamo da una vita a termine ad una vita che è eterna.

La seconda è che il rapporto che Dio ha stabilito con l’uomo è grazia, cioè gratis, assolutamente gratuito da parte di Dio. Egli ci ama non perché siamo meritevoli, ma ci rende meritevoli amandoci. L’amore e il perdono sono le armi con cui ci protegge, ma è soprattutto la sua “Parola”, il Lògos, la luce che ci guida. Per noi è assolutamente necessario agganciarci a questa Parola per riavere lo strumento per parlarci.

La terza è che il messaggio di Dio per noi è Vangelo (in greco Euanghélion) che letteralmente significa “bella notizia”. Se il messaggio di Gesù diventa un peso faticoso da portare vuol dire che non è stato capito.

IL TESORO 

Gli era stata promessa per la sua festa di laurea un’auto nuova.. All’uscita dell’università, con il diploma di laurea sotto il braccio, quale non fu la sua amara sorpresa quando il padre lo abbracciò sorridente, non però con le chiavi della macchina, bensì con un libro in mano, appena ritirato nella vicina libreria. Una Bibbia.

Il giovane neodottore scagliò rabbiosamente il libro e, da quel giorno, non rivolse più la parola al padre. Rimise piede in casa quando anni dopo gli fu comunicata la notizia della morte dell’anziano genitore. La notte del funerale, mentre rovistava tra le carte della scrivania paterna, trovò la Bibbia che gli era stata regalata il giorno della laurea.

In preda a un vago rimorso, soffiò via la polvere che si era depositata sulla copertina del libro e cominciò a sfogliarlo. Scoprì tra le pagine un assegno datato il giorno della laurea e con l’importo esatto dell’auto promessa.

La Bibbia: in libro sigillato, inutile e polveroso per tanti. Eppure tra le sue pagine è nascosto il tesoro che tanto sospiriamo…

“La pietra scartata dai costruttori …”

Ci sono due momenti in cui si sono accumulate pietre accanto a Gesù di Nazareth e sono rimaste lì inutili.

Al termine di una intensa discussione di Gesù con quei Giudei che avevano creduto in lui (Gv 8,59): «presero allora delle pietre per scagliarle contro di lui. Gesù però si nascose e uscì dal tempio» e, sempre sulla spiazzata del Tempio quando portarono a Gesù l’adultera sorpresa in fragrante adulterio (Gv 8,1-11) quando all’ingiunzione di Gesù: «Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei». Le pietre sono rimaste sul terreno nell’attesa che qualcuno le usi per costruire qualcosa.

Per anni Gesù e suo padre hanno lavorato nell’edilizia. Era un técton scrive il Vangelo secondo Matteo. Sceglievano le pietre adatte alla costruzione e quelle non adatte le buttavano giù dalle mura in una discarica chiamata “Golgota”. Un giorno egli, riprenderà l’espressione del Salmo 117, 22 «La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo…»; lo ricordano tutti e tre i sinottici e Matteo si chiede: «dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri?» (Mt 21,42). Gesù è la pietra fondamentale su cui il Padre costruisce il suo Regno. Una pietra per edificare non per distruggere.

Gianfranco Ravasi commenta: “In queste parole c’era la consapevolezza che proprio lui, scartato dai potenti, convinti di essere in grado di costruire la storia, sarebbe stato quella piccola pietra che regge la volta delle vicende umane”.

Perché il Padre lo ha scelto per questo ruolo? Perché nessuno ha interpretato meglio il suo cuore. In lui si è compiaciuto, come per la realizzazione del suo sogno e ce lo ha consegnato come modello: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!» (Lc 9,45). Lo hanno capito bene i discepoli delle prime comunità, interpretati, illuminati in modo splendido dalla 1lettera di Pietro (2,5): «… Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo». Anche noi, come lui chiamati ad essere pietre per la costruzione del mondo secondo il cuore di Dio.

PIETRE E CALCE PER UN MURO SOLIDO

Quando devi fare un muro di pietre, devi prenderle una per una e lavorarle per bene. Se riesci a squadrarle bene, ci vuole meno calce per farle combaciare. La calce che tiene insieme noi esseri umani è l’amore. Se ognuno rimane con gli spigoli che ha, ci vuole molta più calce per tenerci insieme. Se lavoriamo su noi stessi cercando di smussare gli spigoli, ci vuole meno fatica per farci stare uniti.

“Carissimi, stringendovi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale.” (1 Pt 2,4-5)

Difendersi dalle pietre

Qualche decennio fa, a San Remo, Antoine ci sorprese con una canzone molto originale; diceva così:

“Tu sei ricco e ti tirano le pietre / Non sei ricco e ti tirano le pietre.
Al mondo non c’è mai qualcosa che gli va e pietre prenderai senza pietà!

Se lavori, ti tirano le pietre./ Non fai niente e ti tirano le pietre. / Qualunque cosa fai capire tu non puoi spere / se è bene o male quello che tu fai.

Tu sei bello e ti tirano le pietre. / Tu sei brutto e ti tirano le pietre./ E il giorno che vorrai difenderti vedrai / che tante pietre in faccia prenderai!

Sarà così / finché vivrai / Sarà così

Invidia, calunnia, maldicenza … parole come pietre che feriscono nel profondo, uccidono la serenità e la speranza. Non si richiede il porto d’armi per usarle. Colpiscono in silenzio e lasciano ferite mortali. “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà” recita un aforisma attribuito volta a volta a Plutarco, a Rousseau, a Voltaire, ripetuto da Schopenhauer e da Marx, da Bacone … Il male che si è fatto con questo è molto più di quello fatto dalle guerre. È noto l’aneddoto attribuito a san Filippo Neri che, a una donna che si era accusata di calunnie, aveva dato come penitenza di girare per Roma spennando una gallina e poi ripassare a raccogliere le piume. “Impossibile!” aveva obiettato la donna e san Filippo a lei: “Giusto. Come impossibile aggiustare i danni provocati dalle calunnie”.

Oggi il danno della calunnia è elevato all’ennesima potenza, visto l’attuale capacità di amplificazione che hanno i media. Per la sua diffusione questo può essere considerato un peccato sociale. È anche uno strumento subdolo perché fatto con non curanza, magari con umorismo. Spesso è anche vigliacco perché chi lo usa attribuisce la calunnia ad altri o genericamente a “la gente”.

Papa Francesco parla di “omicidio” riferendosi a questo comportamento. Forse lui stesso ha provato sulla sua pelle il danno della calunnia, perché dalla calunnia non sono esenti gli ambienti religiosi. E la calunnia spruzzata di acqua santa è ancora più dannosa.

Parole per costruire

Ci sono anche parole che costruiscono, guariscono, danno speranza. Parole che nascono da un’umanità profonda. Parole di speranza, di perdono, di stima … “Confortare” significa dare forza a chi non ne ha più, “consolare” significa stare con chi è solo perché non lo sia più. Ci sono persone che discretamente si avvicinano, quasi in punta di piedi, a chi è in difficoltà e in punta di piedi se ne vanno dopo aver ridato speranza e vita. Quelli che lo fanno sono molto discreti.

La prima parola che consola e conforta è quella di Dio. Ha la potenza stessa del Dio che fa compagnia e dà forza. Ecco come san Paolo spiega il percorso della consolazione che, partendo da Dio passa attraverso coloro che accettano di essere consolati e diventano a loro volta consolatori: «Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione» (2Cor1,3-5).

Questi sono gli angeli che Dio manda tra gli uomini a portare consolazione e conforto di cui egli è sorgente. “Angelo” vuol dire “inviato” e questi sono veramente inviati; non hanno le ali, ma hanno le parole che riempiono le solitudini e ricaricano le forze per ripartire. Le nostre parole da sole non sono in grado di fare questo, ma quando le nostre parole sono investite dalla forza dall’alto possono guarire, ridare speranza, rimettere in piedi. Le nostre parole diventano pietre per far nascere la primavera del Regno di Dio anche dove altre parole hanno fatto il deserto.

LUI PRIMA DI TE …

Con uno di quei processi orchestrati dall’invidia, era stato allontanato dal grosso incarico che aveva. Sui giornali c’erano state, su di lui, calunnie pesanti, offensive, ingiuste … che avevano spento ogni luce nella sua vita. Era solo e privo di qualsiasi motivo di speranza. L’idea del suicidio si era affacciata più volte … temeva, prima o dopo di lasciarsi prendere.

Un giorno suonò alla sua porta un uomo che non conosceva. “Posso entrare?” chiese.

“Entri” rispose con voce spenta. Si guardarono a lungo in silenzio, poi l’uomo cominciò a dire: “Ho saputo qualcosa dai giornali e la tua mi è sembrata una storia non nuova. Anch’io sono passato attraverso il tunnel della calunnia. Ho perso tutto anche l’amore di mia moglie e dei miei figli. Ero alla disperazione. Un giorno qualcuno mi fece avere questo libretto. Estrasse dalla cartella un libro intitolato: Io prima di te. Era una breve presentazione della vicenda di Gesù di Nazareth finito sul patibolo per le trame torbide di una casta religiosa, che temeva la sua parola, ma che aveva potere sulla gente. L’ho sentito molto vicino a me. Ho ricominciato a vivere e adesso vado alla ricerca di quelli che, come te e me, hanno bisogno di lui”.

Dentro il libretto c’è anche il mio indirizzo e numero telefonico, quando vuoi chiamami. “Mi aiuterai a raggiungere altri che come noi hanno bisogno di Lui”. Gli tese la mano e uscì.

Angeli senza ali

Silenziosi, discreti, senza pretese … si muovono sulle nostre strade dei nostri quartieri, delle nostre città. Non si distinguono dagli altri, non hanno le ali, parlano la lingua che parlano tutti, ma hanno cuore diverso: sono portatori discreti di parole che fanno rinascere la speranza. Si nutrono di una sapienza segreta che li rende capaci di riconoscere e di stare accanto alle persone in difficoltà.

Sono persone che stanno bene quando riescono a far star bene chi è in difficoltà. La loro caratteristica fondamentale è la discrezione: vengono senza annunciarsi e in silenzio se ne vanno quando il loro compito è finito. Non chiedono nulla e non pretendono di essere ringraziati. “Angeli” è il loro nome perché angelo significa inviato, ed essi sono degli inviati.

Se non trovano altro modo, possono confortare anche col silenzio, con la sola presenza, perché l’amore non sa sempre dire a voce le parole che vuol donare: basta un sorriso che esprima la dolcezza della comprensione. Meglio se il silenzio è accompagnato dalla preghiera del cuore. In questo caso forse mi sarà suggerita anche qualche parola. Da chi? Dallo Spirito Santo, che è il vero Consolatore.

In fine hanno un linguaggio facciale: il sorriso. Non un sorriso d’occasione, formale, ma un sorriso vero che parla quanto le parole e a volte anche di più. Dicono i fisiologi che il sorriso mette in movimento molti più muscoli facciali di quanti ne metta in movimento il pianto. È un impegno serio di chi lo dona.

Valore di un sorriso  (Frederik W. Faber)

Un sorriso non costa nulla e rende molto.
Arricchisce chi lo riceve,
senza impoverire chi lo dona.
Non dura che un istante
ma il suo ricordo è talora eterno.

Nessuno è così ricco da poterne fare a meno.
Nessuno è così povero da non poterlo dare.

Crea felicità in casa; è sostegno negli affari;
è segno sensibile dell’amicizia profonda.

Un sorriso dà riposo alla stanchezza;
nello scoraggiamento rinnova il coraggio;
nella tristezza è consolazione;
d’ogni pena è naturale rimedio.
Ma è bene che non si può comprare,
né prestare, né rubare,
poiché esso ha valore solo

nell’istante in cui si dona.

E se poi incontrerete talora

chi non vi dona l’atteso sorriso,
siate generosi e date il vostro;
perché nessuno ha tanto bisogno di sorriso
come chi non sa darlo ad altri.