Tutti lo hanno a disposizione, indipendentemente dell’età, dell’intelligenza, della posizione sociale … Uguale per tutti, ma non per tutti ha lo stesso esito, Perché? Il tempo è così comune, ma nessuno lo sa definire.

Tutti abbiamo il dono del tempo. Ho detto “dono” perché il tempo non può essere comperato o conquistato; può essere solo utilizzato e custodito. Sant’Agostino nelle Confessioni scriveva: “Che cos’è il tempo? Se nessuno me lo domanda, lo so. Se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più”. Lo slogan americano: “Il tempo è denaro” è una lettura molto riduttiva del tempo, una lettura commerciale. Il tempo coincide con la nostra esistenza; ne dice la misura ma non il valore.

L’UOMO E IL “TEMPO”

Il tempo e lo spazio sono le due coordinate fondamentali della vita umana; tutto ciò che la riguarda avviene all’interno di esse. Per conoscere e per agire noi abbiamo bisogno di collocare le nostre iniziative entro queste due coordinate. Noi conosciamo certe realtà solo per contrasto: per capire il giorno noi abbiamo bisogno della notte, per capire il suono abbiamo bisogno del silenzio, per capire la luce abbiamo bisogno delle tenebre … Il tempo ha come riferimento l’eternità, della quale però non abbiamo nessuna idea.

Dio ha riservato a sé la gestione dell’eternità, ma ha dato all’uomo la gestione del tempo. Si tratta di un compito dal quale nessun vivente è escluso. È il compito fondamentale di ogni essere umano. Per spiegarmi riferisco di una strana banca, quella del tempo, che mi ha dato da pensare.

Immagina che esista una Banca che ogni mattina accredita la somma di 86.400 euro sul tuo conto. Non conserva il tuo saldo giornaliero. Ogni notte cancella qualsiasi quantità del tuo saldo che non sia stata utilizzata durante il giorno.

Che faresti? Ritireresti fino all’ultimo centesimo ogni giorno, ovviamente!!! Ebbene, ognuno di noi possiede un conto in questa Banca. Il suo nome? Tempo.

Ogni mattina questa Banca ti accredita 86.400 secondi. Ogni notte questa Banca cancella e dà come perduta qualsiasi quantità di questo credito che tu non abbia investito in un buon proposito. Questa Banca non conserva soldi né permette trasferimenti.

Ogni giorno ti apre un nuovo conto. Ogni notte elimina il saldo del giorno.

Se non utilizzi il deposito giornaliero, la perdita è tua. Non si può fare marcia indietro. Non esistono accrediti sul deposito di domani.

Devi vivere nel presente con il deposito di oggi.

Investi in questo modo per ottenere il meglio nella salute, nella felicità e nel successo. L’orologio continua il suo cammino. Ottieni il massimo da ogni giorno.

Noi siamo riusciti, con cure mediche e con una vita meglio impostata, ad innalzare la durata media della vita rispetto ai secoli passati; ma questo non significa che la nostra vita sia diventata più intensa o più significativa. Se potessimo paragonare la vita umana a un banchetto dove il menu è costituito dai giorni e dagli anni, i veri buongustai non sarebbero quelli che mangiano di più o che spendono di più per mangiare, bensì quelli che gustano quello che mangiano.

Gli ultracentenari da noi crescono di numero, ma non rappresentano quello che ha rappresentato la centenaria Levi di Montalcini per noi. La semplice durata degli anni non dice il valore di una persona, lo dice invece ciò con cui ha riempito i suoi anni. Il Libro della Sapienza (4,13), parlando della durata della vita scrive: «Vecchiaia veneranda non è la longevità, / né si calcola dal numero degli anni;/ ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza».

Uno dei più intriganti autori biblici, il Qoelet, ha un passo famoso al riguardo:

Qoelet (3, 1,8):

Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,

un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,

un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare …

Le quattordici copie di contrari che l’autore presenta indicano gli estremi entro i quali la vita si muove. Secondo l’autore il valore degli eventi che riempiono il tempo lo dice il giudizio di Dio: «Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine».

Immaginiamo che al giudizio finale ci venga proiettato il film della nostra vita, dove sono segnate tutte le premure che il Signore ci ha usato e di cui non ci siamo nemmeno accorti. Quante cose dovremo rimpiangere alla fine se non le abbiamo godute al loro momento. “Giorni perduti” li chiama Dino Buzzati in un suo splendido racconto.

UNA VITA TRA TEMPO ED ETERNITÀ

Nelle preghiere della nostra liturgia ritorna spesso la parola “vita eterna”, che farebbe pensare ad una vita che viene dopo. La “vita eterna” (o vita in pienezza) è quella di Dio. Quella che stiamo vivendo ora non è la brutta copia della vita futura: è il suo inizio. Il nostro problema è far crescere i semi di eternità che già sono presenti nella nostra vita quotidiana e non sopportarli come fossero il pedaggio da pagare per l’eternità alla quale siamo orientati.

Che rapporto c’è tra il tempo e l’eternità? Forse uno simile a quello che c’è tra la gestazione (la vita intrauterina) e la vita fuori dal grembo materno. Non sono due realtà staccate, ma sono la stessa realtà che matura. Di mezzo c’è un passaggio difficile che porta alla luce la continuità che le legava. Mi ha sempre impressionato la conclusione dell’episodio della risuscitazione di Lazzaro: chiamato “il morto esce

con tutti segni della morte (lenzuola e sudario)” e Gesù dice alla gente: «Scioglietelo e lasciatelo andare». Come dire: i morti sono morti se voi, nel vostro pensiero, li ritenete morti. “Lasciatelo andare” vuol dire che egli sta percorrendo una sua via.

Forse questo fa pensare ad un passaggio da un luogo ad un altro, in realtà è l’eternità che irrompe nel tempo, trasformandolo. Ci sono momenti della vita che sembra siano “fuori” dal tempo: momenti di estasi, di amore intenso, di godimento estetico. I momenti della fede hanno questa caratteristica, perché la fede non può essere racchiusa nei confini dei nostri ragionamenti. Un’esperienza di fede è già un momento di eternità.

Mi sembra bella questa riflessione sull’eternità di Benedetto XVI: “L’eternità non è un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità.

Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia” (Benedetto XVI).

L’eternità è già qui. Da quando Dio si è fatto uno di noi l’eternità è già dentro di noi; si tratta di saperla riconoscere e viverla.

LIBERARE L’ETERNITÀ CHE È IN NOI

Una delle cose su cui siamo impegnati tutti è il conteggio degli anni: noi celebriamo i nostri compleanni; per il lavoro ci chiedono da quanti anni facciamo quel determinato lavoro; quanti anni ci mancano per la pensione, da quanti siamo sposati, e così per altre cose … Quante cose ruotano attorno al conteggio degli anni! Ma è proprio questo il modo migliore per misurare una persona, un’impresa, un’attività?

Contare gli anni ci dà la sensazione di possederli, mentre invece ci sfuggono inesorabilmente. Il nostro problema è viverli, archiviarli con soddisfazione nel parco dei nostri ricordi. Troppe volte arriviamo a dire: “È già passato un mese, un anno … non me ne sono nemmeno accorto!”. Giorni, anni … perduti, senza ricordo. Questo è il nostro problema.

Il tempo è il capitale che il Signore ci mette a disposizione per arrivare alla pienezza cui siamo destinati, per realizzare il progetto che egli ha pensato per noi. Noi abbiamo inventato modi per “sfruttare” il tempo o per “ammazzare” il tempo, ma forse non siamo molto saggi nell’amministrarlo. Inventiamo gli stratagemmi più diversi per “riempire” il tempo, ma forse sarebbe meglio trovare il modo migliore per “vivere” il tempo che il Signore ci ha dato. A chi ci chiede quanti anni abbiamo noi rispondiamo con un numero; in realtà noi ne abbiamo vissuti molti meno.

Quando noi diciamo “vita eterna” pensiamo all’aldilà; in realtà la vita eterna è quella che ha Dio (la nostra è vita nel tempo). Chiedere la “vita eterna” è domandare a Dio che ci partecipi la sua vita … e lo fa. Gesù un giorno è uscito in questa

espressione, che era già presente nell’Antico Testamento (Sal 82, 6): «Voi siete dèi, figli dell’Altissimo» (Gv 10,34). Questa, allora è la nostra grande opportunità: far crescere l’eternità che Dio ha posto in noi. Come? Su questo vorrei fermare la nostra attenzione.

LA GUIDA DEI SALMI

I Salmi non sono una preghiera per chiedere, come comunemente le nostre orazioni; sono una preghiera per capire. L’autore del Salmo 89, ad esempio, si presenta come uno che vive l’angoscia di una vita che gli sfugge di mano. A questo punto mi rifaccio alle parole di due grandi della spiritualità cristiana, padre Turoldo e G. F. Ravasi, che commentano questo Salmo. Riassumo le loro parole: “La fragrante e malinconica immagine centrale degli uomini come erba che spunta il mattino e a sera è falciata e avvizzita rimanda ad un tema caro a tutte le letterature. (…). La nostra dolce ma intensa elegia sulla caducità umana si affida a immagini temporali (mille anni/un giorno, anni/giorni, mattino/sera), spaziali (il duplice movimento di

«ritorno» dell’uomo verso la polvere e di Dio verso l’uomo) e psicologiche (collera e misericordia di Dio, ansia e attesa dell’uomo) per esprimere due sentimenti. Da un lato domina il male di vivere (vv. 1-10): i nostri anni sono esili e fragili come un sospiro, e sono tutti intrisi di pena e di affanno. La metà è fatta di polvere, di ombra, di silenzio. D’altra parte, però, si apre una supplica perché Dio ci liberi da questo male, ci insegni a contare i nostri giorni per ottenere la sapienza del cuore. Con la fiducia e l’adesione a chi è eterno, l’uomo che è vano e precario partecipa a una solidità indistruttibile e le sue opere acquistano una nuova stabilità e una loro permanenza (vv. 11-17). Una sottile speranza di eternità chiude, quindi, questa elegia apertasi sul vuoto e sulla polvere” (Ravasi-Turoldo – I Salmi – ed. San Paolo).

CONCLUSIONE

In noi ci sono una parte che finisce, il corpo (è un composto chimico che viene dalla terra e torna alla terra), l’alito di Dio (come lo chiama il libro della Genesi) che è immortale. È questa la nostra eternità che vogliamo affidare alla cura di Gesù di Nazareth. Ennio Flaiano ha un racconto commovente a questo riguardo:

Un giorno che il Maestro si stava ritirando per pregare venne seguito da un padre che trascinava per mano una bambina handicappata. Gesù capì che l’uomo chiedeva un miracolo a favore della piccola e decise di farlo. Ma non fu così: l’uomo raggiunto il Maestro gli disse implorandolo: “Non ti chiedo che tu la guarisca, ti chiedo che tu la ami!” Gesù fu sorpreso e commosso, guardò l’uomo e gli rispose: “Questo lo posso proprio fare, perché sono venuto per questo!” Gesù è l’eternità che Dio ha calato nel tempo.