Il progetto di Dio è portare l’uomo nella pienezza di vita che egli ha (vita eterna). Questa è opera sua, realizzata in un percorso che ha pensato e condotto lungo i secoli. La notte rappresenta il simbolo delle nostre paure, delle nostre insicurezze. Siamo all’oscuro di tutto, anche dei pericoli che ci minacciano, perché non li vediamo. Dio ci viene incontro nelle nostre notti con un preciso itinerario.
A questo scopo prendo lo spunto da un antico testo rabbinico, detto Poema delle quattro notti, risalente a prima di Gesù. Il testo ci parla di come, per ben quattro volte, Dio ha vegliato tutta la notte (ha fatto Pasqua) per portare la vita eterna all’uomo. Il racconto di queste quattro notti pasquali da Israele è passato nella celebrazione della nostra Veglia Pasquale. C’è una forte continuità tra Prima e Nuova Alleanza; tra la fede dei padri ebrei e la nostra; la diretta trasmissione della fede vissuta nella liturgia degli Apostoli, degli ebrei e da noi.
Prima notte
La prima notte fu quando l’Eterno venne per creare il mondo. Il mondo era confusione e caos e la tenebra era diffusa sulla superficie dell’abisso. E la Parola dell’Eterno era luce che brillava. Egli la chiamò “Prima Notte”. Nella tenebra e nella confusione globale, la Parola dell’Eterno è stata luce. La luna piena di primavera ne fu come il simbolo. La creazione è considerata l’inizio del disegno salvifico di Dio.
Seconda notte
La seconda notte quando L’Eterno apparve ad Abramo, all’età di cento anni e a Sara, sua moglie all’età di novanta anni, per compiere quello che dice la Scrittura: «Forse all’età di cento anni Abramo potrà generare e Sara, sua moglie, a novanta anni, potrà partorire?». Egli la chiamò “Seconda Notte” È il momento decisivo, in cui l’Eterno comparve ad Abramo, nostro padre della fede: strinse un’alleanza con lui e, dopo avergli promesso il figlio Isacco, gli chiese di offrirglielo in sacrificio; ma poi ne impedì l’uccisione. La Pasqua evoca quindi anche la liberazione dalla morte di Isacco, il primogenito della promessa.
Terza notte
La terza notte quando egli apparve in Egitto: la sua mano uccise i primogeniti d’Egitto e la sua destra salvò i primogeniti di Israele, perché si adempisse quello che dice la Scrittura: mio figlio primogenito è Israele. Egli la chiamò “Terza Notte”.
È quella che più direttamente fa riferimento alla Risurrezione del Signore Gesù. È il passaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà del cammino nel deserto, dal pianto all’allegria esultante, dalla morte alla vita. Si celebra in primavera, quando dalla morte dell’inverno, la natura passa alla vita di una nuova fioritura.
Quarta notte
Quando Giacobbe, sfuggito alle ire del fratello Esaù, dopo una lunga lontananza decise di tornare alla terra dei padri, la notta prima di incontrarsi con il fratello, sulle rive dello Jabbok lottò per tutta la notte con un misterioso personaggio al quale, dopo aver lottato chiese il nome. Il misterioso avversario non glielo disse, invece cambiò a lui il nome:” Non ti chiamerai più Giacobbe; ti chiamerai Israele.” Fu la nascita ufficiale del popolo eletto.
Quinta notte
La quinta notte è quando Dio si fa uomo. Supera tutte le distanze e si fa uno di noi. Da allora Dio non è più solamente Dio, ma anche uomo. In Gesù Dio e l’uomo sono strettamente abbracciati, uniti in un abbraccio che non si scioglierà più. Anche l’uomo non è più solamente uomo ma è anche Dio. Gesù lo aveva detto citando un Salmo 82: «Voi siete tutti dèi, figli dell’Altissimo». Il programma di Dio per l’uomo è quasi completo.
Sesta notte
La quinta notte è quando egli si manifesterà per liberare l’umanità da tutte le sue schiavitù. Egli chiama “Notti di Veglia” tutte le notti. Questa quinta notte guarda verso il futuro, quando la liberazione sarà definitiva. Con l’avvento del Messia il vecchio ordine di cose scompare e ne è inaugurato uno totalmente nuovo. Noi cristiani celebriamo questa quinta notte nella “Veglia pasquale”, rivivendo le precedenti notti alla luce delle Scritture sante, che le evocano. Il triplice annuncio della Risurrezione e l’Eucarestia ci donano la presenza del Risorto.
Oggi noi stiamo vivendo l’incubo di una notte che sembra non finire. Tutta l’umanità per la prima volta si trova nella stessa notte. Tutti, nessuno escluso. Noi ci stiamo chiedendo: “Quando finirà questa notte?”.
Il profeta Isaia ha questo curioso oracolo «Oracolo su Duma. Mi gridano da Seir: “Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?”. La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!”» (Is 21,11-12). Anche qui una notte che sembrava non far prevedere l‘aurora. Ma noi che notte vogliamo che finisca: quella del coronavirus o quella del nostro stile di vita che lo ha preparato? Una vita fatta di frenesia, di mancanza di profondità, di distanze anche tra le persone legate da responsabilità. Una vita alienata.
La sentinella, che ha il compito di scrutare l’orizzonte per vedere se l’aurora è vicina, risponde a chi domanda con parole oscure che terminano con «convertitevi». La notte, che quotidianamente ritorna nel ciclo cosmico, simboleggia l’incapacità dell’uomo di conoscere e di controllare il suo futuro. Abbiamo creato luci artificiali, che ci servono al momento, ma non risolvono il nostro problema: filosofia, scienze, politica, arte … Ci aiutano ma non ci liberano dalle nostre notti.
Parlando della venuta del Verbo il IV Vangelo ci dà una risposta: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre…» Gv 1,4-5).Sarà lui stesso un giorno ad auto proclamarsi: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» e ancora: «Mentre sono nel mondo, io sono la luce del mondo». È venuto nella nostra notte per illuminarla. La sua vita, la sua morte, la sua risurrezione mandano fasci di luce sulle nostre vicende. Il problema ora è nostro: accoglierlo. Sempre nel prologo del IV Vangelo c’è una constatazione: «la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta» (Gv 1,5). Questo è il nostro problema, la nostra notte. Abbiamo rimosso l’amore che ci aveva visitato. A questo punto voglio raccontarvi un episodio o delle nostre cronache.
Nello studio di un professionista, sulla parete dietro alla sua scrivania c’era appeso un grande ramo d’albero. Un giorno un cliente chiese spiegazioni e il professionista raccontò: avevo circa dieci anni e andai col nonno al parco; era inverno e il piccolo lago era ghiacciato; che bello, pensai “nonno vado a pattinare”. Il nonno non fece in tempo a gridare “attento” il ghiaccio si ruppe e caddi nell’acqua gelida. Il nonno, disperato, per salvarmi strappò un ramo e con fatica mi tirò fuori. A casa mi ripresi con una coperta e una bevanda calda, ma per il nonno, ammalato di cuore, lo spavento e la fatica furono fatali e nella notte morì. Questo è il ramo con cui lui mi ha salvato e lo terrò sempre con me.
Abbiamo rimosso dai nostri ambienti pubblici il Crocifisso a adesso abbiamo dimenticato chi potrà portarci fuori dalle nostre notti. Il Crocifisso è il segno di un amore che si è offerto come riscatto (lo chiamiamo “redentore”) per portarci nella luce. Il racconto della passione secondo il IV Vangelo termina con una profezia di Zaccaria: «Fisseranno colui che è stato trafitto» (Gv 19,37). È il libro che dobbiamo leggere e rileggere continuamente per uscire dalle nostre notti. È quello che celebriamo questa sera nei simboli della Liturgia.