Non si dice più “confessarsi” ma “celebrare la Riconciliazione”. Celebrare perché è una festa, come il Battesimo, come la Cresima, come il Matrimonio …
Un “dono” che fa problema
Il Sacramento della Riconciliazione è la prima delle pratiche religiose tradizionali che va in crisi. Non si tratta di un semplice rifiuto immotivato, ma di un disagio che non ci permette più di vivere gioiosamente questo incontro. Cosa non funziona? Cosa è cambiato?
Le cose non erano molto tranquille nemmeno una volta se la Chiesa si è sentita in dovere di intervenire con un precetto: “Confessarsi almeno una volta all’anno…”. Per un po’ di tempo ha funzionato; adesso non più. Anche su questo nascono degli interrogativi.
Ci siamo chiesti: “Esiste ancora il peccato?”. Abbiamo risposto: “Esiste ancora, ma non significa solo una trasgressione; rappresenta un fatto che mette in crisi una storia di amore”. Quella storia riguarda Dio e noi; per questo dobbiamo chiederci: “Davvero c’è una storia di amore tra noi e Dio? Chi è Dio per noi: il Padre, un amico, il Salvatore … o semplicemente il nostro giudice alla fine della vita. È la domanda posta da Gesù ai Dodici: «Voi chi dite che io sia?». Facciamocela anche noi. Abbiamo sottolineato che c’è un peccato che raramente riconosciamo come tale, l’idolatria. La Bibbia ne parla come di un adulterio (tradimento di un amore). Per spiegarci abbiamo sottolineato che certe cose, anche buone, diventano talmente importanti per noi da mettere in second’ordine il nostro rapporto con Dio. Famiglia, casa, figli, nipoti, lavoro, benessere, salute … sono doni di Dio, ma non sono Dio. Quando certe cose diventano tanto importanti, significa che Dio non è più il centro della nostra vita, che la nostra relazione con lui è una relazione fragile. Il Sacramento della Riconciliazione vuole ricostruisce anzitutto questo nostro rapporto fondamentale. In questa situazione le trasgressioni (i peccati), creano meno imbarazzo. A fronte di un amore debole tutto può essere, in qualche modo, scusato.
«Non avrai altro Dio di fronte a me … perché io sono un Dio geloso» sono le parole con cui si apre il Decalogo. Dio è geloso non a difesa di sé (non ne ha bisogno), ma a difesa della creatura che ama, che rischia di perdere la sua caratteristica più importante, la libertà. Dio è il custode e il garante della nostra libertà, l’idolo (ogni cosa che ha troppa importanza per noi) ci rende schiavi o ci rende meno liberi. È su questo che agisce la forza del Sacramento: ricostruire il nostro rapporto con il Padre.
Una festa da godere e condividere
Il passo da fare ora è trovare il modo per “celebrare” poi per “condividere”. Alla domanda di Pietro: «Signore, quante volte dovrò perdonare mio fratello, se pecca contro di me?». Gesù ha risposto con la parabola del servo spietato per dirci cosa intende per il perdono richiesto e a che cosa ci impegna. (Mt 18,23-35), Gesù ha voluto dirci fino a che punto si spinge il suo perdono e che cosa deve cambiare nel nostro rapporto con il nostro prossimo.
Questa parabola è detta del perdono senza limiti, perché Dio non mette limiti al perdono che dà. Un limite però c’è: accettare la logica del perdono.
Il primo debitore, per aver fatto un debito così grosso, doveva essere un alto ufficiale (satrapo). Il debito di diecimila talenti gira attorno alle 164 tonnellate d’oro. Eppure ha il coraggio di assicurare: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa». Anche se il debitore insieme a sua moglie ed ai suoi figli si fossero messi a lavorare per saldare il debito, non sarebbe bastata loro una vita intera (mettere insieme le 164 tonnellate d’oro). Il cuore del re è grande e condona l’enorme debito. Ma succede qualcosa di ancora più incredibile. Costui si imbatte uscendo, in un suo debitore, che aveva con lui un debito di cento denari (circa 30 grammi d’oro). Anche costui dice: «Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito». Nulla da fare; l’arrogante appena graziato del suo debito enorme lo fa mettere in carcere. Il re viene a sapere la cosa e lo richiama indietro. «Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?». Non era ancora pronto per il condono e doveva avere il modo di capire la logica del Regno di Dio. Il finale ci fa molto pensare: «Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore a vostro fratello». Che sia questo il motivo che tiene lontane tanti cristiani dal Sacramento del perdono?
L’arte difficile del perdono
La parabola non ha lo scopo di insegnarci a ricevere il perdono (Dio ce lo ha già dato), ma il prenderne coscienza e tradurre nella vita questo modo di agire con chi sbaglia con noi. Se tu il perdono lo dai è la prova che l’hai ricevuto; è l’unica verifica. Il Padre Nostro ci fa dire: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» Ai tempi di Sant’Agostino c’erano persone che a questo punto della preghiera del Padre Nostro saltavano questa frase, perché se Dio perdona a noi come noi perdoniamo gli altri, poveri noi.
Il perdono è il centro della vita cristiana, non una delle cose di cui ci possiamo occupare. Non è come riparare un vaso cinese che perde di valore perché è si è fatta una crepa; il perdono fa acquistare un valore nuovo, come se nella crepa mettessimo un diamante per chiudere la fessura: il vaso acquista un valore nuovo. Il perdono è il diamante perché è l’essenza di Dio. Con il perdono siamo ben lontani dalle parole tradizionali come lava, purifica … siamo ad una rinascita.
Ci rimane da riflettere come celebrare e condividere il perdono ricevuto. Lo faremo se possibile in prossima riflessione e cercheremo di scoprire che cosa può darci l’incontro della riconciliazione. Chiudo con un breve episodio avvenuto che ci dice qualcosa del perdono che dobbiamo condividere.
Noi e i peccati degli altri
Erodoto, scrittore greco di bellissime favole, aveva detto che, alla nascita, Dio ci ha dato due sacchetti, uno appeso davanti e contenente i peccati degli altri, e uno sulla schiena, contenete i nostri peccati. Noi vediamo solo i primi.
In un collegio, un giorno un alunno aveva commesso una infrazione grave. Siccome era il migliore, tutti lo invidiavano e lo osteggiavano. Tutti si aspettavano che il direttore lo punisse in modo esemplare, ma passarono tre mesi senza che nessuno dicesse nulla. Allora un gruppo di ragazzi protestò: “Non si può ignorare ciò che è accaduto. Dopo tutto Dio ci ha dato gli occhi per vedere!” Il direttore replicò: “E’ vero, ma Dio ci ha anche dato le palpebre per chiuderli.”
Il perdono è sempre efficace e guarisce anche più del castigo.