Desiderio di non finire

Nel libro di Qoelet c’è un curioso accenno a proposito della vita dell’uomo che sembra tutta “vanità” (cosa che non dura, svanisce). Qoelet scrive: «Egli (Dio) ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore …» (3,11). Non è difficile capire che tutta la lotta dell’uomo contro la morte non è che il desiderio profondo di “non finire”. Questo sogno cozza contro un’amara e continua constatazione: ogni giorno sappiamo del finire di milioni di persone.

Allora il sogno del “non finire” è una beffa crudele? Non è pensabile che il Creatore, che ha voluto l’uomo “a sua immagine e somiglianza” lo deluda in modo così amaro. Per questo il sogno di non finire” dura da sempre nell’uomo, che è l’unico dei viventi che sa di morire.

Quanto alle teorie della “reincarnazione” promettono qualcosa, che non è esattamente quello che cerchiamo. Più che risurrezione è migrazione dell’anima in corpi diversi. Anche le forme di coma profondo e prolungato con il ritorno alla vita di prima sono altra cosa dalla risurrezione di cui Gesù ha fatto esperienza e di cui ha parlato. Aggiungiamo: Il ricordo di noi in quello che abbiamo fatto non cambia la situazione: c’è il ricordo (ma è sempre per pochi) ma non ci sono quelli che esso rappresenta.  

La paura dell’uomo non è semplicemente “paura di morire, è la paura di “finire”. Finire, cioè essere cancellati dalla famiglia dei viventi come non ci fossimo mai stati. Tornare nel nulla. Nessuno ti ricorda, nessuno ti rimpiange … Non ci sei mai stato. Dio sa di questa segreta paura e ha voluto rispondere alla grande, come sa fare lui.

Quando noi diciamo “vita eterna” noi pensiamo all’Aldilà; no, la vita eterna è la vita che è in Dio, a differenza dalle nostra che è a termine. Con la premura di Padre, egli si è preoccupato di darci la sicurezza, inserendoci già fin d’ora nella sua vita che è eterna. Già dandoci l’alito di vita, di cui parla il libro della Genesi, ci aveva garantito l’immortalità. Muore il nostro corpo ma non moriamo noi. La parte più vera di noi continua ad esistere.

Non essendo stato capito in questo, Dio ha lanciato un progetto più alto: non solo l’immortalità ma la possibilità, fin d’ora, di condividere la vita eterna che è in Dio. Lo ha fatto in un modo che ci sbalordisce ancora: il Figlio, che è Dio come il Padre e lo Spirito, è entrato nell’avventura umana, incarnandosi. Era un passo straordinario, una follia divina. Dio non era più solamente Dio, ma anche uomo e l’uomo non era più solamente uomo, ma anche Dio. In Cristo Dio e l’uomo sono profondamente uniti, inseparabili. Incredibile, ma vero.

E allora … risurrezione

Il Figlio di Dio non aveva bisogno di risorgere, era l’uomo-Gesù che chiedeva questo passaggio … per noi. L’apostolo Paolo ha scritto: «Ma se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1 Cor 15,14). Se non c’è la risurrezione di Cristo cade tutto l’impianto della nostra fede. La risurrezione è la carta alta che Dio ha giocato per noi.

Nessuno dei Vangeli racconta la resurrezione di Gesù, perché è qualcosa che le nostre parole non possono esprimere. Gesù non è tornato indietro dalla tomba: è andato oltre la tomba, è entrato in una vita completamente nuova, difficile da immaginare.

Quando pensiamo al futuro, che abbiamo fantasticato noi (reincarnazione a ciclo continuo, ingenui paradisi della tradizione popolare, Sheol degli ebrei, il paradiso ‘godereccio’ degli Islamici …), le nostre proiezioni immaginifiche sono state polverizzate dalla fantasia di Dio, la Risurrezione.  La nostra fantasia si perde di fronte ad un simile progetto; non riusciamo nemmeno a immaginarlo. L’unica cosa che i discepoli sono riusciti a trovare, è stato il “sepolcro vuoto”. Con la risurrezione ogni sepolcro deve rimanere vuoto. Sepolcro vuol dire “zona morta”. Queste zone le elimina la risurrezione.

La risurrezione di Cristo è il capitolo finale del capolavoro di Dio e presuppone tutto il percorso precedente: l’incarnazione, la vita nascosta, il messaggio, la scelta dei dodici, il processo, la condanna e la morte. La preghiera liturgica della conferenza episcopale svizzera dice: “Attraverso la passione e la morte hai condotto Cristo alla Resurrezione e lo hai chiamato alla tua destra re dell’universo”. La Risurrezione è un percorso tracciato da Dio stesso e realizzato nella vicenda del Figlio per tutti i figli.

Qualche espressione di anime grandi a proposito della risurrezione:

Una tomba, un’urna sono troppo piccole per contenere le meraviglie che Dio ha fatto per ognuno di noi.

Dopo la risurrezione comincia qualcosa di nuovo, su cui tutte le potenze del mondo della morte non hanno più la forza. (Dietrich Bonhoeffer)

I cristiani non hanno un corpo accuratamente imbalsamato e rinchiuso in una teca di vetro per essere adorato. Grazie a Dio abbiamo una tomba vuota. Il fatto glorioso che la tomba vuota ci annuncia è che la vita per noi non termina con l’arrivo della morte. La morte non è un muro, ma una porta. (Peter Marshall)

Voi vi preoccupate se risorgerete o meno, mentre siete già risorti, senza accorgervene, quando siete nati. (Boris Pasternak)

Muoio ogni notte per resuscitare ogni mattina. Ogni notte è quella della Santissima Agonia… (Georges Bernanos).

Liberiamo l’immortalità che è in noi

C’è una parte di noi che ha un ciclo a termine, quella che ci è stata data dai nostri genitori; ma c’è un’altra che è immortale: la “scintilla” di sé che Dio mette in ogni essere umano. L’immortalità parte da questa scintilla. Diciamo subito che, siccome «Dio è amore» come dice la Prima lettera di Giovanni (4,8), la scintilla divina che è in noi è una scintilla di amore. Nella misura in cui noi diamo forza a questa scintilla facciamo crescere in noi l’immortalità.

Con il Battesimo noi siamo stati innestati in quella meravigliosa vite che è Cristo: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). La nostra vita ha questa grande possibilità: crescere in lui e con lui. Non dimentichiamo l’affermazione di Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà …» (Gv 11:25). Quell’«anche se muore» ci toglie ogni dubbio sul limitato potere che può avere la morte su di noi. Morirà una parte di noi, ma quella parte che ci viene da Dio non può morire: è immortale.

Possiamo ora capire il perché dell’ultima consegna che ci ha fatto Gesù: Questo è quanto vi chiedo: che vi amiate l’un l’altro come io ho amato voi» (Gv 15,12). La nostra eternità è questa: amare come ci ha amato lui. E la prima lettera di Giovanni (1Gv, 3,14) precisa «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte».

E allora la morte?

È giunto il momento di fare chiarezza su tanti luoghi comuni sulla morte. Non molti anni fa abbiamo affrontato il tema con questa espressione Dalla vita alla Vita dove la “v” minuscola e la “V” maiuscola dicono il salto di qualità. Non possiamo dare una risposta al problema della morte a partire dalla esperienza che abbiamo fatto di essa personalmente. “Non possiamo guardare in faccia il sole o la morte” diceva lo scrittore e filosofo francese François Rochefoucol.

Il sociologo austriaco Franz Borkenau ha parlato di culture che negano la morte, di culture che sfidano la morte, di culture che accettano la morte e di culture che trascendono la morte. La solenne celebrazione dei riti funebri è stata, presso molte culture, un tentativo di esorcizzare l’inquietante mistero del morire.

Il fenomeno più recente che ha sconvolto il nostro rapporto con la morte è la sua secolarizzazione, (l’abbandono della dimensione della trascendenza che essa aveva), e la sua privatizzazione (riduzione a fatto privato).  La “privatizzazione” – dicono i sociologi – è stata un modo per emarginare la morte. Essa non appartiene più al numero delle cose di cui le singole persone si debbono occupare: la morte è demandata ad agenzie apposite (ospedale, imprese funebri, ecc. …) che ci sollevano dal coinvolgimento diretto con essa. Un nostro proverbio recitava così: “Chi muore giace, chi vive si dà pace”.

Il nostro linguaggio quotidiano liquida la morte con frasi scontate: “Ci ha lasciato … non c’è più … se n’è andato …” ma una risposta chiarificatrice non l’abbiamo ancora. Mi ha sempre colpito la frase di Gesù di fronte a Lazzaro che egli aveva chiamato dal sepolcro e che si era presentato con tutti i segni della morte (sudario, lenzuolo dei morti…): «Scioglietelo e lasciatelo andare!». Come dire che non era scomparso, ma solo stava facendo un altro percorso. I morti sono morti dentro di noi, perché li riteniamo… morti. La morte ha senso solo alla luce della risurrezione.