La fede dei credenti ha cercato spesso di esprimersi attraverso pratiche e gesti suggeriti da gruppi devozionali. L’abbinamento devozioni e fede può rappresentare un arricchimento, ma talvolta rappresenta un equivoco. Vediamo perché.

Per definizione, fede e devozioni hanno origine ed esito molto diverso: la prima viene solo da Dio, le seconde sono un movimento del cuore verso qualcosa che lo attira; hanno anche un esito diverso: la prima prende totalmente la persona, le seconde ne investono solo una parte. Le devozioni sono tantissime e vanno nelle direzioni più diverse, anche non religiose; la fede è una sola e porta a Colui da cui ha origine.

Nella pratica spesso sono confuse: si dice che una persona è molto devota intendendo che è fortemente credente e viceversa. Questo è a scapito di tutte e due.

  1. Fede: fascino e timore

C’é chi lo aveva caratterizzato con due parole: fascinosum et tremendum. Si tratta di attrazione fortissima e di un altrettanto forte senso di panico, quello che si prova di fronte a un vortice che ti sta per prendere. Per questo vorrei aprire questa riflessione con un racconto simbolico che ci introduca nel tema che vogliamo affrontare.

La montagna di Dio

Era una bella pianura, adagiata ai piedi di una catena di monti, dominati da una vetta altissima, la cui cima si perdeva oltre le nubi. La neve la copriva per quasi tutto l’anno. Era affascinante e misteriosa. La gente del posto, nascendo, apriva gli occhi su questo spettacolo, che l’accompagnava, poi, per tutta la vita. Tutti sognavano di arrivare un giorno su quella cima, ma per lo più si limitavano a cime più basse, più raggiungibili, come una preparazione per l’ascensione che avrebbero tentato un giorno. Qualcuno, ogni tanto, osave la scalata e, dopo aver raggiunto la cima, tornava a riferire quello che aveva goduto. Molti ascoltavano estasiati e avevano l’impressione di essere arrivati anche loro e si accontentavano di quello; alcuni, però, stimolati dalle esperienze udite, si cimentavano nella scalata; la maggioranza, invece, invecchiava e moriva, accontentandosi delle cime più basse.

Fuori dall’allegoria, quella montagna, che sembra toccare il cielo, è la fede (il rapporto diretto con Dio). Le cime più basse sono le pratiche religiose e le devozioni che danno la sensazione di avvicinare la grande cima, ma non lo sono ancora. Quelli che hanno scalato la grande montagna sono i santi, che raccontano la loro esperienza; quelli che si accontentano delle cime più basse sono la maggioranza di noi. Prendendoci un po’ di tempo potremmo trovare la spinta per salire più in alto e provare le vertigini della fede.

Una provocazione

Qualche tempo fa ho letto questa frase scritta in evidenza sulla copertina di un libro: “Ci vediamo fuori”; l’ho legata automaticamente all’argomento di cui stiamo parlando. Vedendo quanta gente partecipa a feste patronali e parrocchiali, processioni, pellegrinaggi … si ha l’impressione che la maggioranza della popolazione sia cristiana convinta. Poi, però, nella vita di tutti i giorni (diciamo “fuori”) non li distingui dagli altri. Allora è “fuori” che si misura la fede di una persona.

La religione più diffusa in Italia è il cristianesimo, presente secondo i rilevamenti statistici del novembre 2017, per il 74,4% (circa 45 milioni di persone, si dichiara aderente al cattolicesimo, ma “fuori” che cosa rappresentano? Il termine religione indica sia il legame dei fedeli con Dio, sia l’insieme di pratiche, riti, dogmi, precetti attraverso i quali questo legame si manifesta. Individualismo, egoismo, divisioni, rancori, invidie, odi … sono entrati anche nella vita dei credenti, come in quella degli altri. Il recente fenomeno dell’immigrazione ha fatto venire a galla un atteggiamento molto meno evangelico di quello che potevamo aspettarci.

Certo che ci sono anche credenti veri, convinti, ma quello che fa notizia sono le manifestazioni esteriori. Le pratiche devozionali, le feste parrocchiali, le varie ricorrenze, le processioni, i pellegrinaggi … sono espressione della devozione, cioè della dedizione, del culto della vergine e dei santi e, in definitiva, di un’attenzione per il pianeta di Dio. Sono forme autentiche quando vengono dal cuore e si trasformano in vita secondo il Vangelo. A volte può succedere che rimangano solo gesti esteriori, o addirittura che assumano una dimensione “magica”, come se una certa pratica “costringesse” Dio a fare quello che vogliamo noi.

Per cui, nonostante molti si definiscano cristiani, affermino di avere fede in Dio e nel suo Figlio Gesù Cristo, compiano molti atti devozionali, la loro vita concreta non sembra corrispondere alla fede che professano. Eppure sono convinti di essere credenti seri. Che cosa non funziona?

L’ISOLA DEI SENTIMENTI 

C’era un’isola, dove vivevano tutti i sentimenti e i valori degli uomini: la Ricchezza, l’Orgoglio, la Tristezza, il Buon Umore, il Sapere… così come tutti gli altri, incluso l’Amore.

Un giorno venne annunciato ai Sentimenti che l’isola stava per sprofondare, allora prepararono tutte le loro navi e partirono. l’Amore volle aspettare fino all’ultimo.

Quando l’isola stava per sprofondare, l’Amore decise di chiedere aiuto. La Ricchezza passò vicino all’Amore su una barca lussuosa e l’Amore le chiese: “Ricchezza, mi puoi portare con te?”, rispose: “Non posso, ho molto oro e argento sulla barca; non ho posto per te”.

L’Amore decise allora di chiedere all’Orgoglio che stava passando su un magnifico vascello: “Orgoglio ti prego, mi puoi portare con te?”, “Non ti posso aiutare, Amore…”, rispose l’Orgoglio, “qui è tutto ordinato e perfetto, potresti rovinare la mia barca”.

L’Amore chiese alla Tristezza che gli passava accanto: “Tristezza ti prego, lasciami venire con te”, “Oh amore”, rispose la Tristezza “sono così triste che ho assoluto bisogno di stare sola”.

Anche il Buon Umore passò di fianco all’Amore, ma era così contento che non sentì la voce dell’Amore che lo stava chiamando.

All’improvviso una voce disse: “Vieni amore, ti prendo con me” Era un vecchio che aveva parlato. L’Amore si sentì così riconoscente e pieno di gioia che dimenticò di chiedere il nome al vecchio. Quando arrivarono sulla terra ferma il vecchio che aveva parlato se ne andò.

L’Amore si rese conto di quanto gli dovesse e chiese al Sapere: “Sapere, puoi dirmi chi mi ha aiutato?”, il Sapere rispose: “È stato il Tempo”. “Il Tempo?” si domandò l’Amore, “Perché mai il Tempo mi ha aiutato?”, il Sapere, con la sua saggezza rispose: “Perché solo il Tempo è capace di comprendere quanto l’amore sia importante nella vita”.

Niente di nuovo sotto il sole

Nella lettera dell’apostolo Paolo ai cristiani di Colossi, scritta intorno agli anni 60 (trent’anni circa dalla morte e risurrezione di Gesù), egli costata già un problema che rischia di compromettere la fede. Uno dei problemi della comunità era il diffondersi al suo interno di nuove correnti filosofico-religiose di derivazione pitagorica e giudaizzante, con le loro relative dottrine mistiche e ascetiche. Tali dottrine parlavano di una “conoscenza superiore”, comunicata da angeli. Solo apparentemente davano l’impressione di non essere rivali del cristianesimo, in realtà insinuavano il sentimento di una orgogliosa superiorità motivata da vantate rivelazioni. Con le loro pratiche ascetiche contestavano il modo di vivere degli altri battezzati e pretendevano di imporre loro nuovi modi di vivere. «Nessuno dunque vi condanni in fatto di cibo o di bevanda, o per feste, noviluni e sabati» scriveva Paolo ai battezzati di Colossi.

L’apostolo interviene duramente nei confronti di questi pseudo spirituali: le loro pratiche presumono di dare, per altra via, la salvezza che Cristo ha già realizzato. Non hanno nessuna efficacia per la salvezza. La comunità cristiana di Colossi si trovava dunque a far fronte a questo pericoloso sincretismo che rischiava di allontanare i battezzati da un’autentica adesione a Cristo.

Ogni cristiano che pensi di potersi dedicare a quella dottrina deve rendersi conto che abbandona il capo, che è l’unico Signore. «Costui non si stringe al capo» ammonisce l’apostolo; essi sono schiavi di precetti relativi a pratiche esteriori e opere ascetiche, che impongono divieti e distinzioni: «Non prendere, non gustare, non toccare!». Anche l’antica legge aveva un’infinità di obblighi e di divieti e la legge che regola questi gruppi equivaleva a una ricomparsa della schiavitù dalla quale Cristo ci ha definitivamente liberati come sottolinea nella lettera ai Galati (5,1): «Per la libertà Cristo vi ha liberati: state dunque saldi e non lasciatevi di nuovo sottomettere al giogo della schiavitù».

Anche nel credente c’è una voglia di protagonismo che gli fa ignorare l’iniziativa di Dio per sostituirvi la propria. Sentirsi salvati dalle proprie iniziative era il problema del fariseismo che nemmeno Gesù è riuscito a sconfiggere.

Oggi stiamo assistendo ad una sorta di “revival” di diverse forme di devozione e religiosità. La pietà popolare, per comunicare con il divino, cerca spesso il contatto immediato attraverso fenomeni straordinari (apparizioni, visioni, messaggi, etc.) piuttosto che attraverso la fede; predilige le illusorie scorciatoie dei fenomeni straordinari che la via maestra della croce.

“Al serio impegno dello studio e della preghiera sostituisce il facile affidamento a pratiche esteriori, col sostegno anche e di una certa mentalità utilitaristica (lucrare indulgenze, ottenere grazie, assicurarsi l’ingresso in paradiso mediante l’osservanza di certe pratiche vissute peraltro al di fuori del loro contesto originario: primi venerdì del mese, primi sabati, scapolare della Madonna del Carmine, medaglia miracolosa, e così via). Se da un lato tutto questo può essere occasione per far sì che la fede del popolo acquisti più calore perché parla un linguaggio comprensibile che risponde alle esigenze religiose “immediate”, dall’altro occorre sempre un’opera di evangelizzazione affinché esse non si allontanino mai dal cuore dell’Evangelo” (p. Attilio Franco Fabris, Passionista, parroco abate della parrocchia di “Sant’Andrea di Borzone” Borzonasca (GE).

Il peccato di partenza

Quando noi diciamo “peccato originale” pensiamo al bellissimo mito del cap. 3 della Genesi, in realtà più che peccato dell’origine si tratta dell’origine di ogni peccato. Il peccato originale è l’idea distorta di Dio, idea dalla quale provengono tutte le deviazioni, le esagerazioni, i fraintendimenti su di lui.

«Dio nessuno l’ha mai veduto; l’Unigenito che viene dal seno del Padre lui ce lo ha rivelato» (Gv 1,18). il Figlio è l’unico che può rivelare il vero volto del Padre, anzi è lui il volto visibile del Padre. Al centro del nostro rapporto con Dio c’è la rivelazione che lui ha fatto di sé, non le rivelazioni private in cui Dio chiede digiuni e altre forme penitenziali, che egli non ha mai chiesto. C’è qui il rischio di confondere gli atti religiosi devozionali con la stessa adesione alle verità rivelate e che la Chiesa ci insegna come fede autentica.

L’ultima consegna che Gesù ha fatto ai suoi è stata: «Questo è il mio comandamento, che vi amiate come io vi ho amato» (Gv 15,12). È la consegna a cui nulla e nessuno può sottrarci. La preghiera grande della sua cena ultima esprimeva un anelito: «Che siano una cosa sola come tu (Padre) sei in me e io in te» (Gv 17,21). Nulla e nessuno può mettere in crisi questo suo desiderio; tutto deve convergere a creare questa unità, perché Dio è “Unità”. Le devozioni, con le loro differenze, devono essere una ricchezza nella loro varietà e non un motivo di divisione. La co-unione nella ecclesia deve essere lo scopo, la ricchezza, e non la minaccia di questa unità.

Ricchezze della diversità e centralità di Dio

Cristo è il sogno realizzato del Creatore per l’umanità: è l’uomo perfetto. Nessuno potrà mai ripetere quella pienezza, ma tutti potremo realizzarne delle parti. Le devozioni possono essere la messa in luce dell’una o dell’altra delle ricchezze del modello, non già la contrapposizione delle une con le altre. Come in un quadro o in un arazzo ogni colore deve essere finalizzato all’insieme. Povertà, contemplazione, dedizione, servizio, preghiera, umiltà, sacrificio … sono valori che devono arricchire e non frammentare il volto della comunità.

Il percorso della spiritualità della Chiesa si è arricchito lungo i secoli della varietà delle sottolineature dell’umanità del Figlio; come la pluralità degli strumenti musicali rende più ricco un concerto, se tutti rispondono alla stessa regia. Istituti, movimenti, gruppi, confraternite … hanno messo in luce qualche aspetto della inesauribile ricchezza dell’umanità di Cristo. Sono significative risposte ai bisogni dei momenti storici dell’umanità. Anche oggi sono una benedizione, a patto che non creino “isole” nell’unità. La personalità di Gesù ha sempre delle risposte da dare alle esigenze concrete del momento storico dell’umana famiglia.

I santi sono realizzazioni parziali della ricchezza di Cristo. Sono fratelli nell’umanità e nel cammino della fede. “Fratelli” dice la ricchezza ma anche il limite della loro funzione. Hanno rappresentato la realizzazione di un aspetto del “Modello”, ma non sono il “Modello”. Certe manifestazioni folkloristiche del culto dei santi sanno di paganesimo: al centro non hanno il Cristo. I santi sono con noi nel cammino della salvezza, ma la salvezza è solo opera di Cristo. Solo lui è il “riscattatore” (redentore diciamo di solito), cioè colui che ha offerto sé stesso per “riscattare” noi.

Riporto la preghiera ingenua, frutto di questa mentalità. Una persona semplice, inginocchiata davanti al Santissimo, chiedeva: “Signore, chiedi a sant’Antonio che mi faccia questa grazia!”. Esprimeva quello che il suo ambiente le aveva insegnato.

Maria è “corredentrice”, ma il “redentore” è Cristo. Maria ha incantato Dio per la sua bellezza e con il suo “sì” ha permesso l’avvio della redenzione. Nessuno come lei ha interpretato le virtù del Figlio, ma rimane sempre una creatura, lei pure salvata … in previsione. Non finiremo mai di capire e di celebrare le meraviglie che Dio ha realizzato il lei, ma non possiamo dimenticare quello che lei ha detto nel suo cantico: «Grandi cose ha fatto in me colui che è potente e santo è il suo nome». Ha messo Dio al centro e non sé stessa: «Ha guardato l’umiltà (nel testo greco c’è “la tapinità”) della sua serva per questo tutte le generazioni mi chiameranno beata». Una centralità di Dio, nella sua vita, alla grande.

Bisogno di devozioni

Devozione significa letteralmente (dal latino devovére dedicarsi). Tutti abbiamo piacere che qualcuno sia dedicato (devòto) a noi, ma allo stesso tempo desideriamo essere dedicati a qualcuno o a qualcosa. Dio è dedicato a ciascuno di noi e ciascuno di noi desidera essere dedicato a lui. Sarebbe naturale che noi fossimo devòti (dedicati) a Dio, visto che lui è totalmente devoto (dedicato) a noi.

Vista l’idea astratta che abbiamo di Dio, preferiamo dedicarci (essere devoti) a qualcuno che ce lo faccia sentire più vicino, per esempio i santi o le pratiche pie. La conseguenza è che spesso, visto che Dio lo sentiamo lontano, ci dedichiamo a riti, santi, Madonne … che sentiamo più vicini.

Nascono così devozioni in cui Dio sembra esserci poco o niente. Il santo in questione, o il rito, o l’oggetto arrivano ad occupare tutto lo spazio della nostra devozione. Se analizziamo certe feste o certe celebrazioni potremo notare che sappiamo anche poco del santo in questione o del perché celebriamo. Le devozioni in questo caso sono momenti emotivi, rassicuranti, ma poveri di contenuti.

Oggi, per un bisogno di novità, si vanno a ripescare antiche tradizioni celebrative per farle rivivere, ma difficilmente queste rievocazioni aggiungono qualcosa al nostro mondo spirituale.

Sono devozioni che non ci appartengono.

FEDE, RELIGIONE, DEVOZIONI

Devozione (dal latino devotio e devovēre, cioè fare un voto) era, sin dall’antichità, l’atto con cui ci si impegnava con la divinità per averne un favore. Era una sorta di transazione: preghiere e novene, offerte e sacrifici … in vista di un ritorno.

La cosa è entrata anche nella tradizione cristiana e cattolica. Le devozioni sono tante dirette a Dio o ai santi per ottenere delle grazie. Fa parte di una tradizione vasta e collaudata, che può avere un suo risvolto positivo a patto che …

non si pensi di modificare la volontà di Dio in favore di quanto noi aspettiamo, ma allo scopo di allinearci con essa… Se Dio cambiasse opinione non sarebbe più Dio. È il richiedente (l’orante) che deve capire e adattare le sue attese al progetto di Dio che è sempre orientato al bene più grande per le sue creature. Gesù aveva detto: «Se aveste la fede e diceste a questo monte (o albero) traferisciti in mare … questo avverrebbe». È strano che né Maria, né gli apostoli, né alcun santo abbia mai fatto questo trasloco. Il motivo è che Maria, gli apostoli e i santi, proprio per la loro fede, capivano che i monti e l’albero stavano bene dove Dio li aveva collocati …

 non si confonda la fede con queste “pretese” umane, comprensibili ma inadeguate, nei nostri rapporti con Dio. È Dio il protagonista unico e assoluto delle vicende umane. È giusto, però, ammettere che le devozioni, se saggiamente guidate, possono far crescere la fede; diversamente possono condurre a forme di neo-paganesimo.

Bisogno di devozioni …

Col venire meno della dimensione religiosa, oggi si stanno sviluppando “para religioni” con le loro feste e i loro riti e i loro santuari: stadi, dancing, discoteche, Hit parade … con il loro appuntamenti e con i loro devoti e i loro riti. Hanno anche i loro eroi, i loro ministri organizzatori e soprattutto hanno milioni di fan. Sono delle devozioni… laiche. Anche in queste nuove religioni ci sono i “gruppi devozionali”: nei partiti politici ci sono le correnti e i fan dell’uno o dell’altro leader; nello sport ci sono i fans dei vari campioni e delle varie formazioni… E anche queste hanno le loro roccaforti, i loro riti, i loro adepti. Fan è l’abbreviazione del termine inglese fanatic; non ha nulla a che fare con il termine amico

A costoro che cosa trasmette la partecipazione ai riti laici? Probabilmente qualche momento in cui ci si sente sicuri, protetti… ma non coinvolge in profondità la persona, se mai la plagia. Non c’è varietà, non c’è dialettica, ma questo non è un vantaggio perché la persona non è stimolata a crescere: sta bene così com’è. Crescere è sempre faticoso, ma è l’unico modo per non bloccarsi.

Nel grande gruppo (Chiesa, società, formazione politica, ecc.) ci si può sentire soli, non considerati, ma si hanno anche stimolazioni maggiori, varietà di persone con cui confrontarsi … Diciamo che è meno gratificante, ma molto più utile.

I gruppi “devozionali” hanno una loro funzione all’interno di una realtà più grande; possono rappresentare degli stimoli e degli arricchimenti … se non perdono il contatto con il gruppo più grande in cui sono nati. Si dice che, quando si crea un gruppo, si forma un’isola. Le varie isole di un arcipelago, se comunicano fra loro, diventano un continente.

IL TEMPIO BUIO

Un principe molto ricco decise di costruire una chiesa per tutte le persone che abitavano nel villaggio. Era un bell’edificio elegante, posto sulla collina e dunque ben visibile a tutti. Ma aveva una stranezza: era senza finestre! Il giorno dell’inaugurazione, prima che il sacerdote cominciasse la celebrazione, il principe fece il suo discorso per consegnare il tempio alla comunità. Disse: “Questa chiesa sarà un luogo d’incontro con il Signore, che ci chiama a pregarlo ed a volerci bene. Vi chiederete come mai non sono state costruite finestre. Lo spiego subito. Quando ci sarà una celebrazione ad ogni persona che entra in chiesa, verrà consegnata una candela. Ognuno di noi ha un suo posto. Quando saremo tutti presenti, la chiesa risplenderà ed ogni suo angolo sarà illuminato. Quando invece mancherà qualcuno, una parte del tempio rimarrà in ombra”. Gli abitanti di quel villaggio furono molto grati al principe, che oltre ad essere ricco era anche molto saggio.

Il tempio rimane buio quando è vuoto; quando qualcuno fa luce si vedono anche le cose belle che custodisce; è vivo quando la gente celebra, canta e comunica.

  1. Dio: difesa e rifugio

Leggendo i Salmi ci stupisce la veemenza con cui Davide e gli altri salmisti parlano dei loro nemici: un vero e proprio odio per coloro che si oppongono al disegno di Dio e perseguitano il suo popolo. Anche tra i profeti, questi sentimenti sono molto comuni: molte delle loro pagine parlano della vendetta che Dio farà sui nemici di Israele. Dio è invocato come aiuto contro gli avversari e a volte gli viene chiesto di schiacciarli, di sterminarli. Una spiegazione c’è. Proviamo a considerarla.

Israele aveva come obiettivo la conquista della Terra Promessa; doveva farlo, conquistandola con una vera e propria guerra. Questa conquista gli opponeva dei nemici: popoli che adoravano gli idoli e che gli Ebrei consideravano corrotti. La loro vittoria su questi popoli rappresentava il giudizio divino sulle loro idolatrie.

Cristo capovolge la situazione: il popolo di Dio, la Chiesa, non ha più l’obiettivo di conquistare la terra, perché Gesù Cristo ha già conquistato per lei una patria. I cristiani non devono conquistare il mondo, non devono fare una “guerra santa”, ma devono predicare l’amore, il perdono e la grazia di Dio. Esistono ancora dei nemici, ma sono dentro il cuore di ciascuno. Il combattimento avviene con le armi della fede e della misericordia.

Salmo 30

In te, mi son rifugiato, mai sarò deluso;
difendimi per la tua giustizia.
Perché mia rupe e mia fortezza tu sei,
per il tuo nome guidami e conducimi.

Scioglimi dal laccio che mi hanno teso,
perché sei tu la mia difesa.
Alle tue mani affido il mio spirito;
tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele.

Esulterò e gioirò per la tua grazia,
perché hai guardato alla mia miseria,
hai conosciuto le angosce della mia vita;
non m’hai consegnato nelle mani del nemico,
hai posto i miei piedi in un luogo spazioso.

Abbi pietà di me, Signore, sono nell’affanno;
per il pianto si consumano i miei occhi,
la mia gola e le mie viscere.
Si logora nel dolore la mia vita,
i miei anni passano nel gemito;

Sono il rifiuto dei miei nemici
e persino dei miei vicini,
il terrore dei miei conoscenti;
chi mi vede per strada mi sfugge.
Sono come un morto, lontano dal cuore;
sono come un coccio da gettare.

Ma io confido in te, Signore;
dico: “Tu sei il mio Dio,
i miei giorni sono nelle tue mani”.
Liberami dalla mano dei miei nemici
e dai miei persecutori:
sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto,
salvami per la tua misericordia.

Signore, che io non debba vergognarmi
per averti invocato;
si vergognino i malvagi,
siano ridotti al silenzio negli inferi.

Quanto è grande la tua bontà, Signore!
La riservi per coloro che ti temono,
la dispensi, davanti ai figli dell’uomo,
a chi in te si rifugia.

Tu li nascondi al riparo del tuo volto,
lontano dagli intrighi degli uomini;
li metti al sicuro nella tua tenda,
lontano dai litigi delle lingue.

Benedetto il Signore,
che per me ha fatto meraviglie di grazia
in una città fortificata.
Siate forti, rendete saldo il vostro cuore,
voi tutti che sperate nel Signore.

Commento

Il Salmo muove da un’esperienza drammatica del salmista: è sfuggito di mano al suo nemico perché il Signore ha guidato al largo i suoi passi.  Questo motiva questa sua lunga preghiera che diventa preghiera per chiunque è di facile lettura.

Quest’esperienza lo ha fortificato, ma la prova continua, lunga e snervante, ed egli si trova nell’affanno, nel pianto. È un emarginato su cui pesa una pubblica riprovazione che lo logora. Una congiura poi continua a volerlo morto, e lo fa vivere in un clima di terrore. Suo rifugio è tuttavia il Signore, al quale domanda salvezza dai suoi nemici.

La recitazione cristiana omette l’invocazione d’annientamento dei nemici. Il cristiano prega per la conversione dei suoi nemici e non chiede a Dio di intervenire su di loro colpendoli secondo la sua giustizia, ma sa che Dio saprà agire. San Pietro nella sua prima lettera così ci dice di Cristo (2,23): «Insultato, non rispondeva con insulti, maltrattato, non minacciava vendetta, ma si affidava a colui che giudica con giustizia».

Il salmista, sollevato dalle angosce, loda e ringrazia il Signore, che lo ha liberato.
La sua preghiera termina con un invito a tutti i “suoi fedeli”, cioè i retti di cuore del suo popolo, a non dubitare mai del Signore anche nelle situazioni d’estremo dolore, e a perseverare nell’affermare il bene.