La pratica religiosa e la fede non sono la stessa cosa. Credere è una realtà molto più profonda e coinvolgente

Desiderio di “non finire”

È innato nell’uomo il desiderio di “non finire”. Noi vorremmo che non finisse nel nulla quello che abbiamo vissuto, amato, realizzato, sognato, lottato … vorremmo che venisse in qualche modo conservato, che non andasse perduto. Nessuno, però, può assicurarci questo: non i genitori, i figli, i nipoti, gli amici perché anch’essi finiscono; non i medici e la medicina, che al massimo prolungano la nostra vita biologica, anch’essi, però, muoiono; nemmeno la fama, che è riservata a pochi e che col tempo impallidisce e finisce per essere solo un ricordo storico.

Dio invece non dimentica. Nel Salmo 56,9 il salmista scrive: «I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli: non sono forse scritte nel tuo libro?». Egli, quasi fosse un genitore o un nonno, ha messo da parte i ricordi di quelli che ama. Dio non dimentica, conserva, dona durata a ciò che ama.

Quando noi sentiamo l’espressione “vita eterna” pensiamo “all’aldilà”, invece la vita eterna è quella di Dio, mentre la nostra è vita a termine. Il Sogno del Creatore è condividere con l’uomo la sua “vita eterna”. Il sogno di Dio è diventato realtà, quando il Figlio si è fatto uomo. Da allora Dio non è più solamente Dio, ma è anche uomo e l’uomo non è più solamente uomo, ma è anche Dio. In Gesù Dio e l’uomo si sono legati … per sempre.

Il nostro legame con Dio

Quando Dio ha dato inizio alla specie umana: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue radici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). È un parlare con immagini, affascinante, suggestivo. “Polvere del suolo” indica inconsistenza (un colpo di vento la disperde); “alito di Dio” indica durata, eternità. Se Dio è amore (1 Gv 4,8.16) quello che Dio pone nell’uomo è una scintilla di amore … di eternità.

Dio guida l’uomo stando all’interno di lui, una scintilla divina che sarà sempre con lui. Dio guida l’uomo stando all’interno di lui. Qui si innesta ti problema della fede. Essa è il legame che Dio offre a tutti gli esseri umani, ma che chiunque deve coltivare. Col raffinarsi della nostra cultura abbiamo imparato a gestire con più intelligenza quello che riguardava il corpo; saggia alimentazione, medicina, chirurgia, esercizi fisici … ci hanno dato ottimi risultati per il corpo. Invece l’attenzione e la cura per quel legame che ci rapporta a Dio … queste sono ancora premure molto spesso non capite. Si pensa che tanto la misericordia di Dio alla fine interverrà e aggiusterà. Non si pensa che l’eternità sta già avvenendo ora e noi non ne godiamo i frutti. Una gestazione sconsiderata non giova alla creatura che nascerà. A che cosa serve la fede?

Il dialogo fede-religione

Allo scopo di accompagnare la nostra ricerca di immortalità intervengono fede e religione. Una volta sembravano la stessa cosa, oggi abbiamo bisogno di fare delle precise distinzioni tra di esse.

Nel mondo esistono più di 20.000 religioni e tutte queste assicurano di voler condurre i fedeli sul cammino che la fede chiede loro. Non siamo in grado ora di analizzarle, ma ci nasce il dubbio che tutte guidino saggiamente i loro fedeli alla meta che promettono.

Una donna che ho conosciuto mi ha raccontato un suo sogno circa il cammino della fede e della religione. Mi è sembrato suggestivo e ve lo riferisco con le sue parole.

Ero arrivata sulla riva del grande fiume quand’ero poco più che una bambina. Ricordavo vagamente il paese da cui provenivo, ma i confusi ricordi che ne avevo mi ritornavano spesso in mente. Arrivando, avevo trovato tantissima gente. Molti erano lì da una vita: si erano ambientati e non pensavano affatto ad andarsene altrove. Io invece, pur avendo trovato un ottimo lavoro e messo su una bella famiglia, mi sorprendevo spesso ad accarezzare un segreto desiderio: andare sull’altra sponda.

L’altra sponda del fiume era l’argomento che ogni tanto faceva capolino nei discorsi della gente. Alcuni ne parlavano come di un Eldorado, altri come del “paese degli allocchi”. Avevo provato ad assumere informazioni più precise, ma ero stata scoraggiata dalle risposte che ne avevo avuto: vaghe, seccate, ironiche. Quante volte mi ero sorpresa a scrutare nella foschia che saliva dal fiume per scorgere qualcosa dell’altra sponda! Nei giorni più limpidi ero riuscita a scorgere i profili dei monti e degli alberi… e mi era sembrato un paesaggio già visto. Alla fine, spinta dai miei figli, decisi di andarci. Ma dirlo era una cosa, farlo un’altra. Cominciò una lunga preparazione: si trattava di assumere informazioni più precise e di organizzare la traversata.

C’erano tra noi alcuni che venivano chiamati “esperti”. Si diceva che avessero studiato l’altra sponda sui grossi libri; ma di fatto non c’erano mai stati. Con i loro paroloni facevano più confusione che altro. Poi c’erano quelli che venivano chiamati “curiosi”: navigando sul fiume dicevano di essersi avvicinati moltissimo all’altra sponda del fiume, ma dal loro resoconto non si riusciva a capire fin dove arrivava la realtà e dove la loro fantasia. C’erano anche quelli chiamati “esuli”. Si diceva che sull’altra sponda quelli ci fossero vissuti; ma da loro non si riusciva a cavare nessuna informazione. E c’erano infine gli “operatori turistici”. Organizzavano viaggi sull’altra sponda, molti dei loro clienti tornavano non troppo convinti da queste tournée. Stando così le cose, decisi di tentare la fortuna.

Il fiume era percorso da numerose barche che andavano in tutte le direzioni. Il problema era trovarne una che facesse la traversata. Non saprei dirvi a quanti barcaioli feci domanda. I più nemmeno mi risposero; alcuni si limitarono a dirmi: “Ho un lungo percorso da fare… poi magari…”. Ma nessuno mi diede garanzie sicure. Finché un giorno incontrai, quasi per caso, uno che …

Fu come vincere un terno al lotto. Cominciò per me un lungo viaggio interiore, che mi piacerebbe raccontarvi. Ho conservato come un “diario di bordo” di quei giorni. Non saprei dirvi quante leghe ho percorso; forse nemmeno una… Ma ho camminato tanto. Ora non mi sento più la stessa persona di un tempo… anche se gli unici cambiamenti visibili sono che ora ho i capelli brizzolati e mi sono po’ appesantita. Qualcuno mi dice che ho buttato via gli anni migliori della mia vita all’inseguimento di sogni e di utopie. Io sono contenta di averlo fatto e mi offro di accompagnarvi.

– Avete intuito chi siamo io e i miei figli?

– Che cosa significano le due sponde del fiume?

– Su quale sponda sta la fede e su quale la religione?

– Che cosa sono il fiume e le barche e la traversata?

– Vi richiamano qualcuno gli esperti, i curiosi, gli esuli, gli operatori turistici?

– E che cosa vuol dire quel viaggio di cui stavo parlando?

Fede e religione: somiglianze e diversità

A grandi linee, senza la pretesa di essere esaustivi, proviamo a riflettere su alcune differenze fondamentali tra la religione e la fede. La fede è nell’uomo dal momento che riceve l’alito di Dio che lo fa esistere; è la forza interiore che lo spinge verso l’infinito, l’assoluto; è il cordone ombelicale che ci lega al Creatore. Non dimentichiamo quanto afferma il Salmo 81,6: «Io ho detto: Voi siete dèi, figli dell’Altissimo». La fede è la nostra vera carta d’identità.

La religione invece è un tentativo umano di trovare una via d’accesso alla divinità. Di religioni ce ne possono essere tante quante possono essere i tentativi umani, di fede ce n’è una sola. A questo proposito è molto chiara l’espressione della 1Lettera di Giovanni (4,10) ripresa anche da san Paolo nella lettera ai Romani (5,8): «Non siamo stati noi ad amare (cercare)Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato suo Figlio per essere il sacrificio propiziatorio per i nostri peccati».

Mentre nella religione fa leva su ciò che l’uomo fa per Dio, la fede si basa su quello che Dio fa per gli uomini. Nella religione è sacro il Libro; nella fede è sacro l’uomo (Mc 2,27). Nella religione è importante il sacrificio, nella fede fondamentale è l’amore («Misericordia io voglio e non sacrifici», Mt 9,13; 12,7; Os 6,6).

La religione (ogni religione) pensa di essere l’unica depositaria della verità e considera le altre fuorvianti. Le guerre di religione sono tristemente famose e purtroppo ancora oggi portatrici di sofferenza e di divisione e di morte.

Ogni religione ha la pretesa di essere l’unica assoluta rivelazione della divinità, e questo le dà il diritto di dividere le persone tra fedeli e infedeli, credenti e non credenti, tra puri e impuri, di promettere un premio o di minacciare un castigo, innescando forme crescenti di violenza morale, psicologica e, quando le leggi civili lo consentono, anche fisica.

PERCHÉ TANTE CHIESE?

un turista arrivò, un giorno, in una cittadina medievale, rimasta miracolosamente intatta. fu colpito da tante cose, ma una lo sconcertò: lo stragrande numero di chiese. troppe per una popolazione numericamente modesta. domandò spiegazione a uno degli anziani del paese. “ci sono tante chiese – fu la risposta – perché nessuno vuole andare nella chiesa degli altri”

Le fede salva, la religione …

C’è un sogno nel cuore di Dio: riportare a casa tutti i suoi figli e le sue figlie: «Dio, nostro Salvatore, … vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). Così si esprime l’apostolo Paolo al discepolo Timoteo, scrivendo all’altro discepolo, Tito, aggiunge: «Egli (Dio) ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia» (Tt 3,5). È ovvio che il primo interessato alla nostra salvezza, il protagonista di questa opera è Dio. Tutto quello che egli fa è orientato alla nostra salvezza.

La religione, invece, gioca tutto, o quasi, il suo sforzo, sull’impegno dell’uomo, sui risultati che riesce ad ottenere, sui suoi meriti. Da qui la paura del giudizio o la presunzione farisaica di salvarsi con i propri meriti acquisiti. I farisei del tempo di Gesù (e analogamente quelli di oggi) non potevano intendersi con il Figlio, che ci ha rivelato che è la “gratuità” di Dio che ci salva e non il nostro sforzo. La parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,10, ss.) non lascia alcun dubbio al riguardo. Questo non significa che le opere buone da noi compiute non servano a nulla; sono il segno più rassicurante che la grazia (dono gratuito di Dio a noi) sta agendo nella nostra vita.

Nella prospettiva di doverci conquistare una salvezza a suon di meriti, si spiega il ricorso a Maria madre di Gesù e ai santi come avvocati e intercessori; ai cicli di preghiere; alle promesse a ai voti per ottenere favori a Dio. In tutto questo, però, ci gioca ancora, subdolamente, il nostro protagonismo: non ce la facciamo da soli, ma con l’appoggio dei santi, delle pratiche forti della religione (preghiere, novene, sacrifici, voti…) ci riusciremo.  Certo tra noi e Maria e i santi c’è una com-unione di fede (è una verità di fede), ma nessun santo si impegnerà a far cambiare i progetti di Dio su di noi.

Nella parabola del Samaritano (Lc 10 30-35), costui, che rappresenta il Signore, alla locanda ha pagato in anticipo per quell’uomo abbandonato mezzo morto lungo la strada, che rappresenta noi. Era come dirci che noi non dobbiamo salvarci, dobbiamo lasciarci salvare. La morte in croce del Figlio ha rappresentato lo scambio per la nostra salvezza: la sua vita per la nostra.

La Storia della salvezza è il racconto di come Dio intende salvarci e di come ci sta salvando. Lasciarci salvare non è una resa passiva all’azione di Dio, ma è la volontà di lasciarci coinvolgere nella danza di salvezza che Dio sta facendo con noi e per noi.

Degli Italiani è stato detto: “Sono un popolo di praticanti non credenti e di credenti non praticanti”. Un paradosso che rivela la sua drammatica verità quando praticanti inossidabili, di fronte a dure prove della vita smarriscono il loro riferimento a Dio, arrivando addirittura a rifiutarlo

FEDE, RELIGIONE, DEVOZIONI

Devozione (dal latino devotio e devovere, cioè fare un voto) era, sin dall’antichità, l’atto con cui ci si impegnava con la divinità per averne un favore. Era una sorta di transazione: preghiere e novene, offerte e sacrifici … in vista di un ritorno.

La cosa è entrata anche nella tradizione cristiana e cattolica. Le devozioni sono tante dirette a Dio o ai santi per ottenere delle grazie. Fa parte di una tradizione vasta e collaudata, che può avere un suo risvolto positivo a patto che …

— non si pensi di modificare la volontà di Dio in favore di quanto noi aspettiamo, ma allo scopo di allinearci con essa… Se Dio cambiasse opinione non sarebbe più Dio. È il richiedente (l’orante) che deve capire e adattare le sue attese al progetto di Dio che è sempre orientato al bene più grande per le sue creature. Gesù aveva detto: «Se aveste la fede e diceste a questo monte (o albero) traferisciti in mare … questo avverrebbe». È strano che né Maria, né gli apostoli, né alcun santo abbia mai fatto questo trasloco. Il motivo è che Maria, gli apostoli e i santi, proprio per la loro fede, capivano che i monti e

— non si confonda la fede con queste “pretese” umane, comprensibili ma inadeguate, nei nostri rapporti con Dio. È Dio il protagonista unico e assoluto delle vicende umane. È giusto, però, ammettere che le devozioni, se saggiamente guidate, possono far crescere la fede; diversamente possono condurre a forme di neo-paganesimo.

Le difficoltà che possiamo incontrare non sono necessariamente segno di poca fede; fanno parte di un cammino di crescita. Charles De Foucault scriveva: “Dio si serve dei venti contrari per portarci in porto”. Evitiamo di paragonarci continuamente agli altri, perché questo ci confonde facendoci credere migliori o peggiori degli altri. Il teologo ebreo MartinBuber (filosofoteologo e pedagogista austriaco naturalizzato israeliano) sottolineava: “Tutti gli uomini hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso”.