Circolava alla fine degli anni ’60 un ritratto di Cristo wanted–ricercato: capelli lunghi, barba incolta, amico degli emarginati, annunciatore di un messaggio rivoluzionario, malvisto dai poteri costituiti. Era il Gesù dei contestatori. Son passati parecchi anni e Gesù è sempre ricercato. Di lui ci sono tante immagini in circolazione; qual è quella ‘vera’?
Anche noi abbiamo il nostro Gesù, che ci viene dalla nostra fanciullezza, con qualche ritocco portato dalla catechesi. Ma che presa ha questo Gesù sulla nostra vita? Ai suoi apostoli Gesù un giorno aveva detto: «Voi chi dite che io sia?». Allora Pietro aveva risposto, ma per capirlo veramente dovrà fare un percorso lungo.
Durante il regno di Ezechia (VIII sec. a.C.) primo ministro è un certo Sebna: un opportunista che si lascia corrompere da regali e, con i soldi del popolo, comincia a costruirsi un monumento di marmo. Per un po’ la fa franca, ma poi viene scoperto e destituito dal suo incarico. Ad occupare il suo posto il re sceglie Eliakim figlio di Chelkia. Il profeta è molto soddisfatto per questa scelta perché Eliakim è un uomo onesto e capace.
Il brano di oggi racconta come avveniva la destituzione di un amministratore disonesto e la sostituzione con un altro che si sperava migliore. Il re strappava il mantello e la cintura al ministro indegno. Poi, con queste insegne, rivestiva il nuovo incaricato e gli metteva le chiavi del suo palazzo sulle spalle. “Sulle spalle” perché anticamente le chiavi erano molto grandi e pesanti e non si potevano portare in mano.
Ricevere le chiavi significava avere il pieno potere nel Palazzo del re, amministrare i beni del sovrano e decidere chi poteva essere ricevuto o rifiutato da lui. Questo brano ci prepara a capire il brano del Vangelo di oggi dove si narra che Gesù consegna a Pietro le chiavi del regno dei Cieli, cioè, gli conferisce i pieni poteri Nel versetto 21 viene descritta l’autorità di Eliakim: «Egli sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per tutto il popolo di Giuda».
Questo ci prepara a capire in che consisterà il servizio dell’autorità che Gesù ha conferito a Pietro. Non si tratta di un potere simile a quello che esercitano i capi politici (un’autorizzazione a fare e ad imporre ciò che si vuole) né, ancor meno, è un diritto a ricevere onori e privilegi. Consiste nell’essere un padre sempre pronto a sacrificarsi per i figli. Perché Gesù ha scelto Pietro?
Noi sappiamo distinguere molto bene tra il cameratismo che proviamo per un amico, un collega di lavoro, per i compagni di gioco o di tifoseria sportiva… e il sentimento che proviamo per la persona di cui siamo innamorati. La Bibbia dice che Dio ama le sue creature di un amore “geloso”. Decine di volte risuonano nell’Antico Testamento espressioni come queste: «Io, il Signore, sono un Dio geloso» (Es 20,5). «Sono acceso di grande gelosia per Sion» (Zac 8,2). «Dal fuoco della mia gelosia sarà consumata tutta la terra» (Sof 3,8). Dio esige l’amore esclusivo che coinvolge tutto l’uomo: il cuore, l’intelligenza, le energie. Di Dio o si è innamorati o non si è nulla.
Questo amore senza riserve è preteso anche da Cristo: «Se uno viene a me e ama di più suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Nulla deve essergli anteposto, nemmeno gli affetti più naturali – è questo il senso dell’immagine paradossale da lui usata. L’episodio del Vangelo di oggi si inquadra in questa prospettiva. Proviamo ad esaminarlo con attenzione.
«Giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai discepoli …». Gli evangelisti Marco, Luca e Matteo collocano questo episodio al centro del loro Vangelo, come dire che con questa dichiarazione i discepoli vengono coinvolti in un modo più radicale nell’avventura del loro Maestro. Cesarea di Filippo rappresentava il confine tra la Terra santa e la Terra dei pagani. L’episodio che segue rappresenta una specie di confine tra i credenti e i non credenti. «… chiese ai suoi discepoli: La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». L’interrogazione di Gesù è rivolta esplicitamente ai discepoli e non alla gente. Oggi siamo noi i discepoli chiamati a rispondere.
Il personaggio Gesù, all’inizio della sua vita pubblica, aveva suscitato ammirazione ed entusiasmo: un uomo eccezionale, un grande maestro di vita morale, uno che si era schierato dalla parte dei più poveri, pronto a dare la vita per liberarli dalla loro condizione miserabile. Ma questo non avrebbe portato a quel radicale cambiamento che Gesù andava annunciando.
«Voi chi dite che io sia?». Non basta l’ammirazione per “il personaggio Gesù” per potersi considerare suoi discepoli, per essere veramente “cristiani”. Se oggi Gesù ci rivolgesse la domanda: «Chi sono io per te?», forse risponderemmo con le parole di Pietro: «Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente». Ma egli, probabilmente, insisterebbe: «Ma tu, chi dici che io sia?». Gesù non ci sta facendo l’esame di catechismo, ma ci sta provocando a una presa di posizione: «Chi sono io per te? Che cosa rappresento nella tua vita?». A questo punto forse ci accorgeremmo che Gesù è, sì, un personaggio che conta nella nostra vita, ma non ancora il centro di essa.
Ogni popolo venera i suoi eroi, ricorda gli uomini generosi che hanno compiuto opere grandi, che si sono sacrificati per gli altri, che hanno fatto scoperte utili all’umanità, che hanno aiutato a costruire la pace nel loro paese e nel mondo. Gesù è uno di loro? È solo un uomo saggio, intelligente, generoso …? Per il credente Gesù è molto di più: è il Cristo, il Figlio del Dio vivente! È il senso della nostra storia; è il nostro presente e il nostro futuro.
A questo punto forse rimarremmo senza parole e non ci sarebbe nemmeno bisogno che Gesù dicesse, come a Pietro ed agli apostoli, di non dire nulla a nessuno. Lo capiremmo da soli che, prima di annunciare Gesù come il Cristo, bisogna avere capito bene ciò che questo significa.
Il dialogo tra Gesù e Pietro, riportato dal IV Vangelo (Gv 21,15-17) che mi sembra renda più evidente quanto abbiamo detto: «Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi ami». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami? e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Il dialogo gioca su due espressioni: “Amare (agapào) e voler bene (filéo).
«Tu sei Pietro e su questa pietra, edificherò la mia Chiesa…». Questa la risposta di Gesù a Pietro. L’interpretazione di queste parole è più difficile di quanto sembri. Per quale ragione e in quale senso Simone è chi “pietra” su cui viene edificata la Chiesa? È Pietro la roccia oppure è la sua fede nel Maestro? Nel Nuovo Testamento si parla spesso di “roccia”, ma quella roccia è sempre e solo Cristo: «Voi non siete più stranieri né ospiti ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore» (Ef 2,19-21). «Nessuno – dichiara Paolo – può porre un fondamento diverso quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (1Cor 3;11). Più esplicito ancora è Pietro che, nella sua prima lettera, invita i neobattezzati a non staccarsi mai da Cristo perché è lui la «pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio» (1Pt 2,4-6). Pietro è roccia perché con la sua fede aderisce solidamente a Cristo.
«A te darò le chiavi del regno dei cieli …». Per capire questa espressione dobbiamo rifarci alla prima lettura di questa Celebrazione dove si parla della destituzione di un governatore e la sostituzione con un altro.
Adesso possiamo raccogliere il messaggio di questa Eucaristia. Se la nostra vita è una conversione radicale all’amore di Cristo viene radicata sulla “roccia” solidissima. La Chiesa, fondata sulla fede di Pietro è in grado di aiutarci a superare anche le devastazioni dovute al nostro peccato. Comunque vadano gli avvenimenti, la roccia di questo amore non verrà meno e sarà sempre capace di ridare ai frammenti della nostra esistenza un senso e una unità.
Il ramo strappato
C’è un professionista che tiene appeso in ufficio, dietro la scrivania d’onore, uno strano oggetto. Quando qualcuno gli chiede il perché di quella stranezza racconta:
Il nonno, una volta mi accompagnò al parco. Era un gelido pomeriggio d’inverno. Il nonno mi seguiva e sorrideva, ma sentiva un peso. Il suo cuore era malato, già molto malandato. Volli andare verso lo stagno. Era tutto ghiacciato, compatto! “Dovrebbe essere magnifico poter pattinare”, urlai, “vorrei provare a rotolarmi e scivolare sul ghiaccio almeno una volta!”. Il nonno era preoccupato. Nel momento in cui scesi sul ghiaccio, il nonno disse: “Stai attento…”. Troppo tardi. Il ghiaccio non teneva e urlando caddi dentro. Tremando, il nonno spezzò un ramo e lo allungò verso di me. Mi attaccai e lui tirò con tutte le sue forze fino ad estrarmi dal crepaccio di ghiaccio. Piangevo e tremavo. Mi fecero bene un bagno caldo e il letto, ma per il nonno questo avvenimento fu troppo faticoso, troppo emozionante. Un violento attacco cardiaco lo portò via nella notte. Il nostro dolore fu enorme. Nei giorni seguenti, quando mi ristabilii completamente, corsi allo stagno e ricuperai il pezzo di legno. È con quello che il nonno aveva salvato la mia vita e perso la sua! Ora, fin tanto che vivrò, starà appeso su quella parete come segno del suo amore per me!