La devozione ai Santi, specie nelle solennità patronali o nelle grandi ricorrenze come “ognissanti” può indurre all’atteggiamento dei tifosi del calcio: stanno solo sugli spalti, non discendono mai in campo. Nel libro del “Levitico” Dio chiede, senza preamboli: Siate santi perché io, vostro Dio sono santo” …

«Quelli che sono vestiti di bianco, chi sono e donde vengono?»  (Ap 7,13). Anche noi ci facciamo la domanda: “Chi sono i santi?” È necessario una corretta risposta se vogliamo che questa festa non sia un sogno sganciato dalla realtà della nostra esistenza, ma che sia la celebrazione di ciò verso cui noi tutti siamo incamminati. L’Eucaristia che celebriamo è il grembo che genera i santi e li fa crescere, perché questo incontro straordinario ci introduce alla com-unione con attraverso il la Parola che Dio ci rivolge e attraverso il segno del Pane, che Gesù ci ha lasciato.

RIFLESSIONE

Parlando di santità le prime cose che ci vengono in mente sono l’aureola, i miracoli, il nome sul calendario … Nulla di tutto questo. “La santità non è un lusso per pochi, bensì un semplice dovere per tutti quanti” (Madre Teresa di Calcutta). L’umiltà e il senso del proprio limite sono il punto di partenza per ogni santità perché lasciano a Dio la possibilità di guidarci. Ognuno di noi è un progetto di Dio che Dio ha voluto e coltiva.

Un giorno Dio non ci chiederà perché non siamo diventati san Francesco o san Paolo o santa Teresa o Maria Goretti … o qualsiasi altro santo; ci chiederà perché non siamo diventati il progetto che lui ha fatto su noi stessi. Questa è la santità. Dio ha investito su di noi più di quanto noi pensiamo: «Siate santi perché io, il Signore, sono santo» così si esprime Dio nel libro del Levitico (11,45).

Che cos’è e che cosa non è la santità? Io comincio a dirlo con la teologia di un ragazzino delle elementari.

Una maestra delle elementari aveva condotto i bambini della sua classe e vedere le meraviglie che ci sono nel duomo di Milano. Si era soffermata nello spiegare a loro i significati delle bellissime vetrate, dove la luce, entrando elle figure dei santi, creava un gioco di colori e di luce. Il giorno dopo, al parroco che era venuto a far visita alla classe e che aveva chiesto ai bambini “Chi sono i santi?”, uno di loro aveva risposto: “I santi sono quelli che lasciano passare la luce del sole”.

Molti cristiani bloccano sul nascere l’ideale della santità, dicendo che è troppo difficile e non credono proprio di farcela. Secondo loro la santità è il cielo delle aquile e loro, con le ali da passerotti, non ci possono arrivare. Questa sembra umiltà, ma è vigliaccheria, infingardaggine, pigrizia. Questo il primo rischio.

Un altro rischio (o equivoco) che blocca la santità è il perfezionismo. Il perfezionismo sta alla perfezione come la polmonite ai polmoni: è un’infiammazione. Il perfezionismo non è la volontà di realizzare il sogno che Dio ha posto in noi, ma dal segreto orgoglio di essere migliore degli altri. Il fariseismo del tempo di Gesù e di oggi ha meritato da lui il titolo di “ipocriti” (“attori”). Il perfezionismo è la santità senza l’amore. Il punto di partenza della santità è l’umiltà.

Per la santità cristiana il punto di partenza non è l’ideale che la cultura umana propone (carriera, riuscita, successo …), ma il “sogno” che Dio ha fatto su ciascuno di noi: «Dio ci ha scelto prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto … predestinandoci ad essere suoi figli adottivi mediante Gesù Cristo». Paolo indirizzando le sue lettere scriveva: «a tutti i santi che vivono nella città di Filippi … ai santi che sono in Efesocorinto

… ai santi e fedeli fratelli in Cristo che abitano in Colossi…». Non scriveva ai santi del cielo, ma a persone concrete che abitavano a Filippi, Efeso, Corinto, Colossi, Roma … Erano loro i santi. Detta così, la santità allora è prima di tutto un dono, che Dio mette in ognuno di noi. Le opere buone che facciamo, le virtù che pratichiamo … manifestano la santità che Dio ha realizzato in noi. Il nostro impegno è offrirgli il terreno perché il suo sogno si radichi e si sviluppi. Ma chi ci guida e ci sostiene sul cammino della santità?

Nella parabola del Samaritano (che rappresenta Gesù), che aveva incontrato sulla sua strada un uomo ridotto molto male dai briganti si dice: «Caricatolo sul suo giumento lo portò alla locanda». Nel racconto non si parla di un giumento; il termine reco ìdion, che è stato tradotto “giumento” indica semplicemente un bene posseduto. Nella Lettera agli Ebrei (10,5) Gesù dice rivolto al Padre: «Un corpo mi hai preparato». Allora “il giumento” su cui si è caricato e si carica il peso di ogni nostra miseria è il suo corpo. La cura della nostra guarigione è affidata a lui. Alla locanda egli paga in anticipo per tutti gli sconfitti della vita.

Creandoci Dio ha posto nel terreno della nostra storia il seme della santità; questo seme è rimasto sepolto sotto cumuli di banalità, di ansie, di confusioni, di smarrimenti. Offrendo la sua vita sulla croce Gesù ha riaperto le porte del giardino della santità, non dobbiamo conquistarlo è a nostra disposizione.

QUELLI CHE HANNO RICEVUTO IL “SIGILLO”

La prima lettura parlava di «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni tribù popolo e lingua … davanti al trono e all’Agnello, avvolti in bianche vesti con in mano rami di palma (segno di vittoria). E poi diceva: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione».

I “segnati” non saranno esentati dalla tribolazione, ma avranno Dio vicino a loro che li aiuterà a superarla. Tale insegnamento vale non solo per i figli di Israele, ma anche per i cristiani che con il battesimo («sigillo» era uno dei nomi dato al battesimo nelle chiese primitive) sono fatti partecipi dell’elezione divina riservata ad Israele. La grande tribolazione allarga lo sguardo a tutti coloro che sono vittime della violenza, guerra, fame, pestilenza, persecuzione di ogni tipo, tutti quanti, senza distinzione di nazione, razza, popolo e lingua formano la moltitudine dei beati apparsa in vesti bianche e con una palma in mano (Ap 7,9).

Nell’alleanza del Sinai Dio aveva dato dieci piste per entrare nel pianeta della santità. Non sono state capite e presto sono state anche dimenticate. Gesù il Figlio ha stabilito una nuova ed eterna alleanza, dandoci sette precise indicazioni per il cammino, le “Beatitudini”: “Beati… beati … beati …”. Beati, qui, non è un aggettivo, ma un invito alla felicità, alla pienezza di vita, alla consapevolezza di una gioia che niente e nessuno può rapire né spegnere.

La promessa fatta ai beati solennemente da Gesù è il “regno dei cieli”. Il “Regno dei cieli” che non è un luogo, bensì una relazione: essere con Dio, essere suoi figli … essere fratelli … Rifiutare questo significa restare lontano, separato da Dio, dalla beatitudine. Questo regno, dove Dio regna pienamente, è la comunione dei santi del cielo e della terra, la comunione dei fratelli di Gesù. Anche le Beatitudini, come il Decalogo, sembrano oggi dimenticate, cancellate; la nostra cultura le sente come una provocazione; ma esse sono come il seme di senape, di cui parlava il Maestro, il più piccolo dei semi, che, messo nel terreno della vita diventa un albero, che dono frutti e benessere. Quella moltitudine che non si può numerare, di cui parla il libro dell’Apocalisse, ne è la prova.

La santità non è impossibile, visto che è Dio stesso che ce la offre. Un giorno Gesù aveva detto: «Io sono la vita e voi i tralci»; una comunione profonda con lui: stessa linfa che scorre dalla vite ai tralci; frutti che nascono sui tralci, ma resi possibili dalla forza della vite … La preghiera non è chiedere favori, ma è principalmente accogliere la linfa che ci viene da lui, sorgente di santità. Riporto una leggenda che dice, in modo diverso, la “santità”

L’UOMO LEGGERO COME UNA PIUMA 

L’Angelo della Morte bussò un giorno alla casa di un uomo.

“Accomodati pure” disse l’uomo. “Ti aspettavo”. “Non sono venuto per fare due chiacchiere” disse l’Angelo, “ma per prenderti la vita”. “E che altro potresti prendermi?”  “Non so. Ma tutti, quando giungo io, vorrebbero che io prendessi qualsiasi cosa, ma non la vita. Sapessi quali offerte mi fanno!”. “Non io. Non ho nulla da darti. Le gioie che mi sono state donate le ho godute. Mi sono divertito, ma senza fare del divertimento lo scopo della mia vita. Gli affanni, li ho affidati al vento. I problemi, i dubbi, le inquietudini li ho affidati alla provvidenza. Ho utilizzato i beni terreni solo per quanto mi erano necessari, rinunciando al superfluo. Il sorriso, l’ho regalato a quanti me lo chiedevano. Il mio cuore a quanti ho amato e mi hanno amato. La mia anima l’ho affidata a Dio. Prenditi dunque la mia vita, perché non ho altro da offrirti”. L’Angelo della Morte sollevò l’uomo fra le sue braccia e lo trovò leggero come una piuma. All’uomo la stretta dell’Angelo parve tenerissima. E il Signore spalancò le porte del Paradiso perché stava per entrarvi un santo…